Ragazze interrotte dall’Argentina

Due film del concorso al 32° Festival di Mar del Plata ci portano dentro le contraddizioni della società argentina attraverso storie al femminilie: Primas di Laura Bari e Invisible di Pablo Giorgelli


MAR DEL PLATA – Due film del concorso al 32° Festival di Mar del Plata – che segnala un forte incremento di pubblico con 75mila spettatori nei primi cinque giorni – ci portano dentro le contraddizioni della società argentina contemporanea attraverso storie di figure femminili. Primas (Cugine) di Laura Bari e Invisible di Pablo Giorgelli (nella foto). Il primo è un documentario e un family movie perché la cineasta, un’argentina che vive a Montreal, ha voluto raccontare la storia delle sue nipoti, le cugine Rocìo e Aldana, unite da un tragico destino ma anche dalla ferma volontà di riprendere a vivere con entusiasmo, curate dall’arte e dalla possibilità di dare voce al dolore. Rocìo era ancora bambina quando un uomo l’ha rapita, violentata, picchiata quasi a morte e data alle fiamme. Ha camminato 350 metri mentre il suo corpo andava a fuoco, la sua pelle ha riportato ustioni per il 60%, ha perso un seno, non sa se potrà avere figli. Aldana invece ha cicatrici invisibili: è stata abusata da suo padre invalido, per lunghi anni, sentendosi in colpa e non comprendendo cosa le stava accadendo, finché non ha trovato la forza di denunciarlo alla polizia. Ma si è dovuta sottoporre a test psicologici per accertare se la sua testimonianza fosse attendibile.

La danza, il teatro, persino il circo, sono le espressioni corporee a cui le due ragazze, oggi poco più che maggiorenni, affidano l’elaborazione dei loro traumi con la complicità della zia cineasta (tra l’altro sorella del padre pedofilo di Aldana). “Amo filmare persone sopravvissute – confessa Laura Bari – per me portare l’intimità davanti alla videocamera non è voyeurismo, il mio è un cinema in parte sperimentale e in parte saggistico”. Primas è addirittura la terza parte di una trilogia familiare (con i precedenti Antonio del 2009 e Ariel del 2013) in cui questa cineasta autodidatta rompe tabù devastanti e parla di un argomento come l’abuso sessuale all’ordine del giorno in tutto il pianeta. “Il 25 novembre è la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ma io non sono contro la violenza, piuttosto sono a favore del rispetto. Anche per questo non parlo mai dei carnefici, nel film, ma mi concentro sulle ragazze”. Ed è commovente vedere il chirurgo che ha operato Rocìo ricostruendole la pelle, confessare che all’epoca pensava che fosse meglio per lei morire. “Oggi so di essermi sbagliato e ho cambiato il mio approccio alla chirurgia pediatrica grazie al rapporto con lei, ai suoi disegni, alla sua voglia di ascoltare musica anche dentro la sala operatoria”.

Una storia di resilienza. Come lo è, in tutt’altro modo, l’opera seconda di Pablo Giorgelli, già autore dell’acclamato Las acacias (Caméra d’or a Cannes 2011). Che racconta con stile sommesso e pathos sommerso la vicenda di Ely (Mora Arenillas), una liceale che si arrabatta tra la scuola e il lavoro da un veterinario, mentre la madre che ha perso l’impiego non esce più di casa sprofondando sempre più nella depressione. Quando Ely scopre di essere rimasta incinta – ha rapporti occasionali col figlio del principale, un giovane uomo sposato con figli – la sua prima reazione è quella di abortire anche se la pratica in Argentina è illegale. Il cinquantenne regista la segue nelle sue peregrinazioni per la città, mostrando in vuoto in cui è sprofondata in un film con pochissimi dialoghi e molta tv accesa (da cui apprendiamo che il 32% degli argentini vivono sotto la soglia di povertà). “Volevo raccontare il contesto politico, economico e sociale attraverso una storia in cui l’aborto è solo uno degli aspetti, perché era soprattutto il ritratto della solitudine adolescenziale a starmi a cuore”. Giorgelli, che aveva portato questo film alla Mostra di Venezia, nella sezione Orizzonti, assume pienamente il punto di vista del personaggio a costo di scrivere un finale che può apparire antiabortista ma non lo è. “Piuttosto è la reazione istintiva della ragazza al pantano in cui si trova a vivere insieme a sua madre. Così mi rendo ‘invisibile’ io stesso e divento Ely. Se mi chiedete la mia opinione personale, per me l’aborto deve essere legale e gratuito, ma ho scoperto, facendo ricerche, che molte adolescenti povere decidono di tenere il bambino. E’ un modo di proteggersi, di farsi del bene, perché in quel contesto diventare madre vuol dire trovare un’identità rispettata nella società”. E Giorgelli lancia anche un appello ai cineasti: “Continuiamo a difendere il cinema tutti uniti”. 

Cristiana Paternò
23 Novembre 2017

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