Ligabue: Made in Italy, Man in Italy

Luciano Ligabue torna alla regia, 20 dopo l’esordio e 16 dopo il secondo film: la terza regia è per Made In Italy, film estensione dell’universo musicale dell’omonimo concept album discografico, uscit


Dal palco al set per la terza volta in venti anni: era il 1998 quando un esordiente alla regia Luciano Ligabue svestiva i panni del rocker e si metteva dietro una macchina da presa per Radiofreccia, protagonista Stefano Accorsi, che qui ripropone nel ruolo principale, quello di Riko, e sulle cui spalle attoriali poggia tutto il film, che s’intreccia con la significativa complicità di Fausto Maria Sciarappa, un convincente Carnevale, questo il suo soprannome, artista pittore, dannato, come da tradizione, che fissa nel gioco d’azzardo il proprio difetto umano. Se Stefano Accorsi occupa la quasi totalità della narrazione, e quindi della presenza scenica, interpretando con lacrime, sudore e sangue – letteralmente – il suo operaio d’azienda alimentare che, nella Bassa, da trent’anni è dedito al ripetitivo e frustrante lavoro di insaccatura della mortadella, Sciarappa recita un ruolo tutt’altro che da spalla, mentre la parte femminile è affidata a Kasia Smutniak, nel film Sara, moglie di Accorsi.

Il film ha esordito in anteprima a Roma, dove lo ha presentato Luciano Ligabue, insieme al cast e alla produzione – la Fandango di Domenico Procacci, in collaborazione con Medusa. “Il cambiamento fa paura – dice Ligabue – perché siamo propensi a pensare che non porti buone cose. Però è il movimento naturale della vita. Forse più che gli eventi è la nostra reazione alle cose a produrre la nostra realtà. Riko e Sara vivono in una loro realtà consolidata, ma ad un certo punto lui ha bisogno di cambiare lo sguardo, il film rappresenta un po’ questo percorso, il cambiare le cose che abbiamo sotto mano”. Così l’autore di soggetto, sceneggiatura e regia racconta il suo film, prendendo spunto soprattutto da una battuta fondamentale del suo personaggio Carnevale, detta all’amico Riko: “Non aspettare il cambiamento”, suggerendo piuttosto di metterlo in pratica. “Made in Italy – prosegue Ligabue – nasce come progetto balordo, quello di aver fatto un concept album negli anni 2000: è al limite della presunzione ma era quello che volevo fare a quel punto della mia carriera, e così ho iniziato a chiamare Procacci. Non avevo più scuse per rinviare il ritorno alla regia, avevo una storia. Ho visto così cadere la scusa a cui attingevo: per uno come me, che è abituato a lavorare con la musica, con le emozioni che fluiscono, fare un film è faticosissimo perché è un po’ ‘un progettare le emozioni’, affinché sia ‘di cuore’ quello che racconto”. 

Il film sta in bilico tra due piani, la storia d’amore (tra Riko e Sara) e la Storia e l’amore per l’Italia, che Ligabue dichiara di aver iniziato a manifestare già dieci anni fa con Buonanotte all’Italia: “Voglio raccontare il mio amore verso questo Paese, nonostante tutti i difetti. Con il film volevo raccontarlo dal punto di vista di uno, Riko, meno privilegiato di me. Siamo abituati alla bellezza del nostro Paese e al suo difetto diffuso: questo è un film sentimentale perché mi interessava raccontare il punto di vista di persone per bene, inascoltate perché non di tendenza, perché non cattive. Conosco questo mondo, ho molti amici di vecchia data che mi dicono che essere brave persone spesso non paga, volevo dare voce a loro. Gli amici che mi tiro dietro dall’infanzia sono quelli che non hanno mai occasione di aver voce in capitolo”. E il personaggio di Riko sta in questo profilo disegnato da Ligabue, che Stefano Accorsi ha fatto completamente suo: “È un uomo ‘che sta’ in questa sua vita. Lo troviamo in un momento di crisi. Noi vediamo un uomo che forse se ne vorrebbe anche andare, ma quello che gli dice Carnevale – ‘non aspettare il cambiamento’ – lo fa riflettere: è il suo modo di cambiare il suo punto di vista sulle cose quotidiane che si rigenera, e trovo molto raro mettere in scena queste persone, così ordinarie. C’è tanta verità in questo film”. L’indispensabile Carnevale, Fausto Maria Sciarappa, gli fa eco: “C’è una canzone di Luciano, G come giungla, che racconta come chi vuol sopravvivere vuole cambiare: io ho vissuto questo cambiamento sulla mia pelle negli anni ’90, lasciando Novara per Londra per dieci anni. Luciano è riuscito a far venire nostalgia dell’Italia a chi sta in Italia, non a chi sta all’estero”. Da qui Ligabue mette ulteriormente a fuoco il tema: “Tutto questo progetto nasce da un seme: una canzone che si chiama Non ho che te. È la storia di una persona che perde il posto di lavoro. Quella storia ha generato Made in Italy, l’album: mi piaceva poter raccontare l’analisi specifica di una persona, qui Riko, che perdendo il lavoro perde il senso dell’identità. Con Radiofreccia mettevo spesso la macchina a picco sopra le teste degli attori, perché li schiacciasse, oppure la macchina a terra, perché facesse sentire l’identità del luogo: io continuo ad essere interessato a raccontare cose specifiche del mio luogo: ci vivo da anni, ci vivo bene e forse anche il mio raggio artistico è limitato, ma è quello lì specifico”. Uno specifico che però non lo imbriglia, secondo quanto passa dalle parole del produttore, Domenico Procacci: “Sono molto felice sia tornato a fare un film perché trovo fantastico come, dopo tanti anni, abbia saputo anche adoperare la tecnica – che è cambiata – a suo vantaggio, anche se non la maneggia tutti i giorni”. Una tecnica, tra l’altro, ricca di primi e primissimi piani, che il regista spiega: “grazie a Kasia e Stefano, perché gli stati d’animo diventano sfacciati, buttati in faccia allo spettatore”. Kasia Smutniak, che racconta come “lavorare con Domenico mi mette in soggezione, ancora. Sara è stata difficile da affrontare, mi sono ispirata alla forza delle donne: coerenza, concretezza, anche se la vita ti può portare a perderti un attimo lei è una risolta, non ha paura di prendere decisioni. Mi ha aiutata, nell’interpretarla, il mondo di Luciano, per me molto chiaro: ho lavorato su una base musicale che rappresenta il mondo di Ligabue”. Sara, il personaggio a cui formalmente è affidato il finale, che Ligabue spiega come “lasciato all’interpretazione dello spettatore, non netto, affinché ognuno lo possa vivere come sente”.
 
Il film, che ha potuto contare anche sulla collaborazione coreografica di Luca Tomassini per il balletto di intro in assolo di Stefano Accorsi, esce al cinema il 25 gennaio, in 400 copie circa, come ha confermato Giampaolo Letta per Medusa.

Nicole Bianchi
22 Gennaio 2018

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