La strage di Utøya in un film, antidoto al neofascismo

Un film come antidoto al terrorismo neofascista che sta rialzando la testa in Europa. Così il regista norvegese Erik Poppe descrive il suo U July 22, in concorso alla 68esima Berlinale


BERLINO – Un film come antidoto al terrorismo neofascista che sta rialzando la testa in Europa. Così il regista norvegese Erik Poppe descrive il suo U July 22, in concorso alla 68esima Berlinale. Un film agghiacciante e stordente che ripercorre minuto per minuto la strage avvenuta sull’isola di Utøya  il 22 luglio del 2011. Cinquecento ragazzi che partecipavano a un campeggio pacifista e socialista sull’isoletta al largo di Oslo vennero attaccati da un estremista armato fino ai denti e vestito da poliziotto che poche ore prima aveva fatto esplodere un’auto bomba accanto ai palazzi del governo nella capitale, facendo otto vittime. Su Utøya furono uccise 69 persone, adolescenti e giovanissimi, nel giro di 72 minuti.

72 minuti per intero rappresentati nel film di Poppe (ne dura in tutto 90), che dopo averci mostrato le vere immagini delle telecamere di sorveglianza di Oslo, ci porta a Utøya , dentro una finzione che vuole essere più vera del vero. Facciamo la conoscenza con la protagonista Kaja (Andrea Berntzen), che ci guiderà dentro all’inferno. La ragazza prima parla al telefono con la madre, poi rimprovera la sorella minore Emilie che non risponde al cellulare e vuole restare in tenda anziché partecipare a un barbecue. Ma il primo colpo di pistola repentinamente ci porta dentro alla tragedia, siamo confusi e spaventati come i protagonisti, che non capiscono da dove vengano gli spari, chi sia a sparare, se siano molti uomini o uno solo, se la polizia sia connivente o stia arrivando in soccorso. I ragazzi si nascondono nel bosco, cercano scampo a nuoto. Kaja è una ragazza molto forte, preoccupata più per la sorellina che per se stessa, ad un certo punto si trova poi ad assistere una ragazzina in agonia, quindi si nasconde in un anfratto con un coetaneo, Magnus (Aleksander Holmen), vivendo qualche minuto di apparente quiete in cui si parla del futuro, di un kebab buonissimo e del coro in cui lei canta.

La costruzione è efficace e, secondo alcuni, ricattatoria. Ma il regista e le sue sceneggiatrici – Siv Rajendram Eliassen e Anna Bache-Wiig – rivendicano l’assoluta correttezza dell’operazione. Non solo i sopravvissuti e i parenti delle vittime sono stati consultati in tutte le fasi del film – e tre di loro, Christopher, Ingrid e Martin, sono presenti a Berlino – ma U July 22 ha l’ambizione di non far dimenticare questi eventi che per la Norvegia rappresentano un trauma nazionale indelebile. “Ci si è spesso concentrati sul terrorista e sulle sue motivazioni, e intanto il ricordo dei fatti svanisce, invece è fondamentale mostrare al mondo cosa può provocare il neofascismo che sta risorgendo in Europa”. 

Poppe spiega come, nonostante i mezzi limitati, il film voglia portare il pubblico dentro l’esperienza dei giovani di Utoya. Anche a costo di creare un’angoscia un po’ oltre il limite del tollerabile. “Per questo è stata complicata la scelta degli attori, che dovevano essere in grado di sostenere le emozioni sul set e per questo non solo hanno provato a lungo in teatro i loro ruoli, ma hanno poi sempre avuto un supporto psicologico, sia durante i cinque giorni di riprese che dopo. E questo valeva anche per gli altri membri della troupe perché rivivere quei momenti traumatici è stato per tutti terribile”. 

Anche i produttori insistono sul rispetto delle vittime: “Abbiamo condiviso con i sopravvissuti ogni momento della produzione e sempre per rispetto non abbiamo neanche diffuso un trailer del film”. Ma perché non fare un documentario? “Ci siamo molto interrogati su questo. Era meglio concentrarsi su due o tre storie vere oppure creare una fiction? Abbiamo scelto la seconda ipotesi perché, paradossalmente, ci permette di essere più vicini a ciò che è realmente accaduto, abbiamo cercato di fare una finzione ma restando onesti per restituire l’essenza dei fatti”. In Italia c’è stata invece una versione teatrale con un testo di Edoardo Erba, Utøya appunto.

La giovane protagonista, oggi 19enne, ha un ricordo vago di quel drammatico momento della storia nazionale, all’epoca dei fatti aveva 12 anni. “Ne sentivo tanto parlare attorno a me e avevo paura. Così quando mi hanno detto del film all’inizio ero reticente, pensavo che fosse troppo presto per raccontare questa vicenda… Poi ho letto sceneggiatura e ho capito che dava spazio ai giovani coinvolti e non al terrorista, in un certo senso raccontava una generazione”.

Oggi U July 22 ha l’ambizione di far parte di un processo di guarigione collettiva. “In Norvegia – dice ancora il regista – non si riesce a decidere dove mettere un monumento ai caduti, ecco credo che il film, senza essere un monumento, riesca ad esprimere la collera collettiva. Ma è difficile per me dire quale sarà il suo ruolo, ho finito l’altra notte il montaggio… Spero che serva come un monito”. E come dice Ingrid, una dei sopravvissuti: “Il motivo per fare questo film è perché noi non sappiamo raccontare a parole quello che abbiamo vissuto, ma bisogna mostrare ciò che l’estremismo di destra può fare quando agisce nella sua forma più furiosa e mostruosa e insegnare alla nostra società a contrastarlo”. 

Cristiana Paternò
19 Febbraio 2018

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