Vi prego, uccidetemi!

Un filmmaker geloso dei colleghi assassinati da un serial killer che sta decapitando i migliori registi iraniani è il protagonista della commedia ironica 'Pig' di Mani Haghighi


BERLINO – Un serial killer di registi famosi sta decapitando i maggiori filmmaker dell’Iran ma sembra ignorarne sistematicamente uno, Hasan (interpretato da Hasan Majuni), facendolo precipitare in uno stato di frustrazione e di invidia nei confronti dei colleghi assassinati, rispetto ai quali teme di non essere considerato abbastanza importante. Hasan ha più di un motivo per sentirsi demoralizzato: è finito sulla lista nera del governo che non gli consente di girare film da anni, la sua attrice feticcio è impaziente e vuole lavorare con altri, sua moglie sembra essersi disamorata, sua figlia Alma è cresciuta e ormai indipendente, e, per finire, la sua anziana e amatissima madre sta perdendo la ragione. Sono questi gli ingredienti di Pig, commedia ironica firmata dal regista iraniano Mani Haghighi, che torna per la seconda in concorso alla Berlinale dopo A Dragon Arrives!, e lo fa trattando con humor un tema che conosce da vicino: la non certo facile vita professionale di un regista in Iran, che vive costantemente con l’ansia di essere considerato come sospetto dallo stato, che può inserirlo nella blacklist e impedirgli girare nuove pellicole, e dal suo stesso pubblico. “Nel mio film, però, non voglio fare slogan, voglio solo raccontare di un uomo narcisistico, in crisi e in preda al panico, non tanto per i media, ma per il suo ruolo rispetto ad essi” – ci tiene a sottolineare il regista in conferenza stampa, mentre tenta di allontanare diplomaticamente ogni discorso scomodo sul film. Incalzato, però sui temi politici che pure traspaiono dalla pellicola, ammette: “Ovviamente è un film critico e politico, nel dire che non vorrei parlare di politica intendo che non ne vorrei parlare in un contesto come questo, in cui verrebbero affrontati inevitabilmente solo gli aspetti più scontati dell’Iran, e in maniera superficiale. Ci sono altri luoghi per analisi di questo tipo”. Il film è già stato autorizzato ad essere visto in Iran, entro un mese, a quanto si augura il regista: “Certo, lì la situazione è volubile e tutto potrebbe cambiare, ma al momento non ci sono state pressioni per fare modifiche al film”. Rispetto, poi, al tipo di linguaggio brillante usato: “Credo che il modo migliore per affrontare qualcosa di estremante serio e tragico, che riguarda da vicino, sia la comicità e l’umorismo, che mettono la giusta distanza tra le cose. L’uso dell’umorismo mi ha dato il potere di creare questa distanza, e per me non andare troppo vicino ai soggetti è una forma di rispetto. È possibile prendere le cose seriamente solo se si è capaci di riderne”.

Attorno al personaggio di Hasan, ruotano una serie di figure femminili forti: la madre, la moglie, la figlia, la stalker, l’attrice (interpretata dall’affascinante Leila Hatami di A Separation). “Come tutti gli artisti narcisistici, Hasan ha bisogno di molta attenzione e vuole essere amato da chiunque gli stia intorno. Le donne lo amano, leniscono il suo dolore e massaggiano il suo ego, ma al tempo stesso non gli consentono di fare tutto ciò che vuole. A differenza di come vengono rappresentate in molti cliché cinematografici, qui le donne sono figure che agiscono e guidano gli eventi. Hassan si limita a reagire a ciò che vogliono da lui”. Sopra tutto lo svolgersi degli eventi, i social media, che si animano di fermento e livore nel momento in cui, per una serie di equivoci, Hasan diventa il primo sospettato per gli omicidi: “In tutto il mondo, non solo in Iran, i social media sembrano essersi trasformati nella versione contemporanea del linciaggio, un’espressione di risentimento di massa. Proprio come i droni rendono facile l’omicidio in guerra, così i social possono trasformare il giudizio critico in ferocia”.

Carmen Diotaiuti
21 Febbraio 2018

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