Gael García Bernal e il tesoro dei Maya

L'attore è protagonista del film messicano Museo Folle rapina a Città del Messico, in sala con I Wonder Pictures dal 31 ottobre


BERLINO – Un racconto morale basato su una storia vera reinventata in piena libertà perché “a volte la realtà diventa un ostacolo alla verità”… E’ Museo Folle rapina a Città del Messico, il film del messicano Alonso Ruizpalacios passato in concorso alla Berlinale (Orso d’argento per la miglior sceneggiatura) e acquistato per l’Italia da I Wonder Pictures che lo manderà in sala il 31 ottobre. Il regista – all’opera seconda dopo Güeros, che vinse a Berlino il Premio per l’opera prima nel 2014 – costruisce un heist movie decisamente controcorrente a partire da un caso di cronaca avvenuto nel 1985. Un po’ come fece Carlo Mazzacurati con La lingua del santo. “In quell’anno, in cui ci fu anche un tremendo terremoto – racconta il regista – il Museo nazionale di antropologia di Città del Messico venne svaligiato: un tesoro straordinario che comprendeva oggetti sacri dei Maya e in particolare la maschera funebre del re Pacal venne portato via dalle teche. Si pensò a un furto su commissione messo a segno da una banda internazionale, professionisti del settore legati al traffico di opere ad alto livello, in realtà erano stati due giovani messicani”. 

È la notte di Natale quando Juan e Wilson, due studenti di veterinaria fuori corso si fanno prestare la macchina dal padre del primo (il grande attore cileno Alfredo Castro) e raggiungono la capitale da Satellite, un sobborgo borghese nelle vicinanze. Dentro a due sacche da ginnastica, avvolto nelle loro t-shirt, mettono un bottino talmente prezioso da non avere di fatto un valore commerciale e risultare sostanzialmente invendibile. Da qui parte un road movie che tocca luoghi celeberrimi come Palenque e Acapulco ma rivisitati con un occhio diverso, mai turistico, a tratti grottesco a tratti tenero.

Efficaci protagonisti della pellicola sono il famoso attore messicano Gael García Bernal, che ne è anche coproduttore, e Leonardo Ortizgris (già visto in Güeros), molto credibili nel ruolo di due eterni adolescenti incapaci di crescere e pronti a tutto per evitare il destino piccolo borghese che si profila davanti a loro. “Più che la ricostruzione puntuale della vicenda – spiega il regista – mi interessava raccontare un percorso che va dal delitto al castigo attraverso una presa di coscienza personale. Mi piaceva andare a fondo nella personalità di questi ladri così particolari, non tanto per dimostrare quali siano state le loro motivazioni, che ignoro, ma per raccontare una ricerca di identità personale che si intreccia con la questione dell’identità nazionale”. La refurtiva ha infatti un enorme significato per il Messico, si tratta di oggetti preziosi della civiltà precolombiana e la loro sparizione provoca una sorta di lutto nazionale ma fa anche riflettere sulla spoliazione di cimeli avvenuta per mano degli europei e dei nordamericani in quei luoghi.  

Scritto con Manuel Alcala, il film ha diverse fonti cinematografiche: “Una di queste è Badlands dove Terrence Malick prende una storia vera e la fa completamente sua – spiega il regista – un’altra è Walkabout di Nicolas Roeg, che ha molti riferimenti dal punto di vista visivo”. Tra l’altro il direttore della fotografia Damian García ha usato il 35 mm cercando di dare un look anni ’80 al tutto. Manuel Alcala lavora a questo progetto da una decina di anni, ben prima che Ruizpalacios salisse a bordo. “La famiglia di uno dei due ladri, quello che è stato catturato, ci ha chiesto di non fare il film, ma in fine dei conti la loro contrarietà è stata più che un ostacolo una benedizione perché ci ha dato la spinta ad allontanarci ancora di più dalla cronaca”, spiega lo sceneggiatore. E non manca un elemento autobiografico per il regista: “Anche mio padre, come il padre di Juan, è un medico molto severo e credo che questo sia il mio punto di contatto con la storia. Volevo raccontare cosa vuol dire non sentirsi all’altezza delle aspettative paterne, quei sentimenti di frustrazione e ribellione che un figlio prova nei confronti del padre”. E chiude citando Truffaut: “Ci sono film che mostrano l’agonia del cinema e altri che ne mostrano la gioia, questo appartiene alla seconda categoria”. Incuriosisce poi la circostanza del tutto casuale che il film venga presentato alla Berlinale proprio nel giorno in cui Guillermo Del Toro viene accusato di avere “rubato” il suo film La forma dell’acqua… 

Cristiana Paternò
22 Febbraio 2018

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