Effetto #MeToo sulla giuria?

Nessuno si aspettava la vittoria di Touch me not. Neppure la stessa Adina Pintilie più stupita che felice per il doppio premio alla sua opera prima


BERLINO – Adesso qualcuno metterà in “quota rosa” la vittoria dell’Orso d’oro della 68esima Berlinale. Ma forse si tratta semplicemente di una scelta controcorrente della giuria alla ricerca di qualcosa di provocatorio e inedito (per loro) nel panorama del cinema mondiale. Certo nessuno si aspettava alla vigilia la vittoria di Touch me not, uno dei titoli meno apprezzati dalla critica. Neppure la stessa Adina Pintilie che – salita sul palco del Palast con la febbre e l’influenza – è riuscita ad esprimere più stupore che gioia per il doppio premio arrivato da due giurie diverse allo sperimentale Touch me not, riflessione sul corpo e l’intimità con momenti molto forti che “sfidano lo spettatore e lo mettono a disagio”: non solo il massimo premio di questo Festival ma anche quello per l’Opera prima assegnato da una giuria in cui sedeva il connazionale Calin Peter Netzer, insieme all’italiano Jonas Carpignano.

La 38enne Pintilie – nessun legame di parentela con il famoso regista Lucian, veterano del cinema romeno – è anche direttore artistico del Festival del cinema sperimentale di Bucarest e sta già lavorando a un nuovo progetto che definisce come radiografia di una relazione con i suoi alti e bassi vista con particolare attenzione alla soggettività della memoria.

Un’altra donna, la polacca Malgorzata Szumowska, già premiata alla Berlinale in passato, ha portato a casa l’Orso d’argento per il satirico e graffiante Twarz, interessante anche se imperfetto. La regista ha definito la vittoria di due donne come “un segno dei tempi” collegandolo anche al movimento #MeToo e auspicando che in futuro siano sempre di più le registe. E bisogna ricordare che l’anno scorso l’Orso d’oro andò a un’autrice, l’ungherese Ildikò Enyedi per Corpo e anima. Tom Tykwer ha spiegato le scelte della sua giuria come un’attenzione a “ciò che il cinema può fare in futuro”.

Ed ecco allora un’altra opera prima nel palmarès (e tutta al femminile): Las herederas, che decisamente è stata la sorpresa di questo festival e anche uno dei film più amati. Come dice il suo distributore italiano, Andrea Occhipinti, che loda “un film tutto di donne, intenso, sottile. L’opera prima di un regista di cui sentiremo parlare in futuro”. La pellicola è una coproduzione tra diversi paesi ed è stata realizzata anche con il contributo del Torino Film Lab, che ha messo a disposizione dell’esordiente Martinessi 50mila euro per la produzione. L’interprete Ana Brun, nel film una donna decisamente depressa che quando la sua compagna finisce in galera per un debito si reinventa come autista di ricche vecchiette ed esce dal suo isolamento, ha dedicato il premio alle donne del Paraguay, che ha definito grandi lottatrici, e alla madre che le ha insegnato l’amore per l’arte, la letteratura e la poesia. Martinessi spera che il film possa fare molto per una società conservatrice come quella paraguayana.

A movimentare la serata ha pensato Bill Murray, grande star della premiazione. L’attore ha scherzato con la spigliata conduttrice Anke Engelke. Poi, quando l’hanno chiamato a ritirare il premio alla regia andato a Wes Anderson per l’animazione in stop motion Isle of Dogs, ha giocato: “Sono venuto a Berlino come cane e me ne vado come orso”. E ancora, parafrasando la famosa dichiarazione di Kennedy: “Ich bin ein berliner Hund (ovvero un cane berlinese)”.

I due simpatici compari messicani premiati per la sceneggiatura del convincente Museo, Alonso Ruizpalacios e Manuel Alcalà – quest’ultimo ha lavorato al progetto, ispirato a un fatto di cronaca, una decina d’anni prima di incontrare il regista giusto – hanno ricordato che nell’85, quando avvenne la rapina al Museo di Antropologia di Città del Messico c’era stato un terribile terremoto, e che un terremoto c’è stato anche mentre giravano il film.

Perplessità per il premio per l’interpretazione maschile a Anthony Bajon per La prière, non perché non sia bravo nel film di Cédric Kahn, ma perché è stato preferito a Franz Rogowski e Joaquin Phoenix. Forse, come dice lui, sono state ascoltate le sue preghiere. Il giovane attore francese, che abbiamo visto in ruoli minori in Rodin, Il medico di campagna e Les ogres, è alla sua prima prova da protagonista in questa vicenda di tossicodipendenza e liberazione.

Numerose le assenze ingiustificate dal palmarès: U July 22, In the Aisles, Season of the Devil di Lav Diaz e anche l’italiano Figlia mia di Laura Bispuri, che fino all’ultimo ha fatto sperare in un premio alle sue interpreti. 

Cristiana Paternò
24 Febbraio 2018

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