Cristiana Capotondi: “Le molestie, effetti collaterali del potere”

L'attrice è protagonista del film di Marco Tullio Giordana 'Nome di donna', storia di una lavoratrice che si ribella a un ricatto sessuale sul posto di lavoro


Una battaglia di diritti e di dignità è quella raccontata in Nome di donna, il film di Marco Tullio Giordana in sala dall’8 marzo con Videa. Un film attualissimo, che parla di pesanti ricatti sessuali sul luogo di lavoro a cui è quasi impossibile sottrarsi. Attuale ma che è stato ideato tre anni fa da Cristiana Mainardi, giornalista e sceneggiatrice, a partire da un fatto di cronaca del 1990 e dati Istat perentori: in Italia nel 2015/2016 un milione e mezzo di donne hanno subito ricatti sessuali o molestie sul lavoro. E così oggi la pellicola è sostenuta con impegno da D.i.Re (Donne in Rete contro la Violenza).

Protagonista è Nina (Cristiana Capotondi), una giovane donna con una bambina che si trasferisce da Milano in provincia. Grazie alla raccomandazione del parroco, va a lavorare presso una casa di riposo di lusso. Lo stipendio è buono e le danno anche un alloggio, ma ben presto il dirigente della struttura Marco Maria Torri (Valerio Binasco) ci prova pesantemente con lei, sfruttando la sua fragilità e la posizione di bisogno, e subito penalizzandola per aver rifiutato.

“Due anni fa – racconta Marco Tullio Giordana – il produttore Lionello Cerri mi ha proposto questa sceneggiatura molto bella. All’epoca il problema delle molestie, che naturalmente esisteva già perché è antico quanto il mondo, non era sugli scudi come oggi. Però la sceneggiatura mi è piaciuta perché questa non è una storia di pura denuncia, indaga un personaggio femminile temerario e anche le altre donne del film non vengono giudicate ma raccontate, comprese la moglie e la figlia del molestatore”.

Il film che parte come uno scavo psicologico delle difficoltà di Nina, considerata dal contesto sociale come una ragazza madre e indifesa, anche se ha un compagno (Stefano Scandaletti) molto premuroso ma che vive lontano. Quindi lo script si sofferma sulle colleghe, alcune di loro sono straniere, altre italiane, ma tutte tendono a coprire Torri, per connivenza, opportunismo o per paura di perdere il lavoro. Tanto che il sindacato non è mai riuscito a scoperchiare il caso. Ma dal momento in cui Nina decide di denunciare, parte una vicenda di taglio giudiziario che finisce in tribunale con l’avvocato Tina Della Rovere interpretato da Michela Cescon. Nel cast anche Adriana Asti (nel ruolo di un’anziana attrice), Bebo Storti, Anita Kravos. Laura Marinoni. 

Cristiana Capotondi sostiene il progetto con convinzione: “Queste sono battaglie che molte donne affrontano, altre non denunciano perché temono di non essere credute e sono il 99,7% quelle che tacciono”. L’attrice, che non si è mai scontrata con una realtà del genere, ma ne ha sentito spesso parlare da altre donne, ritiene indispensabile “costruire un percorso culturale a partire dai bambini e dalle bambine, bonificare i luoghi di lavoro, che devono essere liberi da abusi psicologici”.

Il caso raccontato coinvolge anche la Chiesa cattolica. “Ci sono due religiosi nel film – sottolinea Giordana – il capo del personale dell’azienda, connivente, e l’altro sacerdote, che decide di fare il suo dovere e denunciare. Il nostro non è un discorso contro la Chiesa che col nuovo Papa sembra ribaltare le consuete posizioni di potere, ma è vero che in Lombardia ci sono istituzioni religiose che non hanno fatto il bene”.

Impossibile non citare l’appello lanciato dalle donne del cinema italiano sotto l’etichetta di Dissenso comune. Per Cristiana Mainardi “sta accadendo qualcosa di nuovissimo, che rompe un silenzio secolare. E’ sacrosanto che ci sia un dibattito che riguarda le donne e gli uomini, anzi le diversità vanno salvaguardate”. Per Cristiana Capotondi “in questa fase si devono ancora segnare i perimetri della molestia, ma sono contenta che si sia fatta luce sugli effetti collaterali del potere. Bisogna che leader politici, direttori di aziende, primari di ospedali, insomma tutti coloro che hanno potere, siano persone autentiche che non portino le loro psicosi sul luogo di lavoro. Il potere impone responsabilità”. Per Michela Cescon “comincia a venire fuori che la molestia non fa parte delle regole del gioco, che non dobbiamo dare per scontato che può succedere e una donna deve sentire l’orgoglio di non essere il bocconcino di nessuno”. Per Giordana “il ribaltamento culturale deve toccare tutti, anche gli uomini. I primi che danno le spallate si fanno male ma ho fiducia che le cose cambieranno. La molestia, l’abuso, la manina non fa parte della deliziosa guerra tra i sessi, è un problema di potere. Se tu non ce l’hai fai quello che dico io. Questo riguarda la donna, come l’uomo o il bambino vittima di un prete pedofilo. Le donne che hanno subìto questo tipo di violenza sono così tante da pensare che sia una abitudine radicata”. 

E il regista ha rivolto un invito alle firmatarie di Dissenso comune. “Il film, scritto tre anni fa da Cristiana Mainardi, tratta della questione che ha visto riunirvi ed esprimervi con tanta generosità nella lettera aperta che avete sottoscritto. Conosco molte di voi personalmente, con qualcuna di voi ho lavorato, di tante ho avuto modo di apprezzare il talento, di tutte indistintamente ammiro il coraggio e la volontà di scoperchiare un fenomeno odioso come le molestie”.

Cristiana Paternò
02 Marzo 2018

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