Camilleri in “bianco e nero”

La rivista "bianco e nero" dedica il nuovo numero ad Andrea Camilleri, protagonista alla presentazione a Roma.


36 i Paesi in cui è stato tradotto. Mille i suoi titoli trasposti in altre lingue. 92 gli anni all’anagrafe. Questo “in numeri” Andrea Camilleri da Porto Empedocle, Sicilia orientale che presto ha lasciato chiamato dall’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, come lui stesso, in occasione della presentazione del n. 590 della rivista “bianco e nero” a lui dedicato, ha ricordato, tra fermezza e ironia, come sempre gli si conviene: “Orazio Costa nel giro di un anno prese il mio cervello e lo dirottò, dalla letteratura al teatro … Venni espulso dall’Accademia per condotta immorale – Camilleri racconta che venne trovato, addormentato e nudo, insieme alla sua fidanzata del tempo, nel letto della stessa, ospite di un convento – Orazio mi tenne come aiuto regista”.  Da lì la sua carriera si è svolta tra quel teatro, a cui sente ancora appartenere il suo cuore, la radio, la televisione e la scrittura, forma d’arte per cui forse, più di tutte, il pubblico lo conosce, ma che lui precisa praticare solo “di recente” in fondo, rispetto a tutto il resto: “Ho scritto per 92 anni (Camilleri è del 1925). Leviamo i primi due anni di vita, quelli dell’apprendimento. Verso i 25 anni sono stato rubato dal teatro, e il primo romanzo – ‘Il corso delle cose’ – l’ho finito nel ’68: per 10 anni mi è stato rifiutato da tutti, e dico tutti, gli editori italiani. Nell’80 è stato fortunosamente pubblicato, anno dell’inizio della mia vera attività di scrittore. Non smetterò finché morte non sopraggiunga. O meglio, fin quando ancora proverò piacere: quando avvertirò che sarà un peso smetterò, perché non me l’ha prescritto il medico”. 

Nonostante sia probabilmente l’autore italiano più tradotto nel mondo, alla vigilia della Laurea Honoris Causa da parte dell’Università di Tor Vergata, prevista per giovedì 12 aprile, Camilleri tiene a ricordare – sia nell’intervista di un’ora realizzata lo scorso 31 gennaio da Felice Laudadio, presidente della Fondazione CSC e direttore di “bianco e nero”, mostrata prima dell’incontro con l’autore e comunque allegata in DVD nel numero della rivista, sia dal vivo – il suo grande lavoro alla radio, come in televisione: “In Rai ho fatto radio prima e tv poi: 1300 regie radiofoniche di radiodrammi … Poi produssi tutta la serie di Maigret … Dopo un po’ di tempo iniziai anche a fare il regista tv: ne avrò fatte un’ottantina, nulla rispetto a quelle radiofoniche. Sono stato il primo regista a realizzare un’opera in prosa in stereofonia, l’Orestea con Vittorio Gassman … Ho fatto molti esperimenti. Questo di sviscerare la sonorità della parola, mi è servito molto nella scrittura”. 

La storia di Andrea Camilleri, come ha ricordato Felice Laudadio, è stata anche parte della storia del Centro Sperimentale, di cui Camilleri è stato docente in due fasi, tra gli anni ’50 e i ’70, sia di recitazione che di regia. Esperienza travasata in “La scuola italiana del cinema.  Il Centro Sperimentale di Cinematografia, dalla storia alla cronaca (1930-2017)”, a cura di Alfredo Baldi: “E’ una tappa di un cammino, intrapreso nel 1971, quando compresi l’importanza del CSC come istituzione culturale. Ho cominciato a mettere da parte tutti i documenti, creandomi un archivio che mi ha permesso di scrivere una storia abbastanza documentata e accurata”. Questo testo, da ora in poi, sarà materia di studio per la prova di ammissione di chi vorrà provare a essere allievo. 

Come allievi lo sono stati Marco Bellocchio, alunno proprio di Camilleri, e Carlo Verdone: entrambi presenti all’incontro e portatori di un personale ricordo. Di Bellocchio, iscritto al corso di recitazione, Camilleri ha raccontato: “Mi accorgevo che stava a disagio come attore. Cercava di tagliarsi fuori dall’eventuale pubblico. Lo chiamai in disparte e gli dissi che non mi pareva il mestiere per lui. E lui mi disse che sì, non ne aveva voglia e che voleva fare lo sceneggiatore. Allora andai a parlare con il direttore, dissi che era un ragazzo da non perdere e chiesi di farlo passare a regia, così fu il secondo anno. Sono abbastanza orgoglioso di aver avuto questa intuizione”. Bellocchio, notoriamente riservato, ribatte al suo maestro dicendo: “Sostanzialmente condivido. Mi colpisce che Camilleri ricordi più di quanto non ricordi io. Mi ha colpito il termine ‘vergognarsi’ che lui usa, perché proprio puntuale, non era il mio stare sul palcoscenico, anche se amo molto gli attori. Io ho sempre ammirato chi, come Andrea Camilleri, ha la capacità di comunicare con il pubblico, straordinaria, cosa che io non sono capace di fare”.  Da un allievo celebre all’altro, la cui storia personale – e familiare: suo padre Mario fu dirigente del CSC – si stringe in un forte abbraccio con il Centro, Carlo Verdone, che ha preso la parola dicendo: “Mi sento così piccolo di fronte a questi personaggi! Mi sarebbe piaciuto avere come docente Camilleri. Sono fiero di aver fatto il CSC e gli sono molto legato, anche perché mio padre fu dirigente, andavo a trovarlo da bambino. Ricorderò sempre l’emozione della prima volta al CSC: era il teatro di posa al piano di sotto, avrò avuto 8 anni, e c’erano due quasi nudi su un letto, io per mano ad un usciere, Trimarco. Viene quasi chiamato il ciak e qualcuno s’accorge di me minore… Dopo un po’ di insofferenza, l’usciere che mi accompagnava mi mise la mano sugli occhi, quindi non vidi nulla. Mai avrei pensato che un giorno anche io sarei diventato un allievo, grazie ad un super8 che vinse un premio a Tokyo: mio padre volle che lo mostrassi a Rossellini, una visione temutissima da me. Lui mi disse: ‘si vede che ti piace il cinema di Antonioni’. Non avevo mai visto Antonioni ma risposi: ‘moltissimo!’. Mi disse di provare a far domanda al CSC, fui accolto”.

Dagli allievi, ad un maestro del Centro, Giancarlo Giannini, titolare della cattedra di recitazione: “Ho notato che ci sono punti in comune con Camilleri: l’Accademia, la borsa di studio, il non averla finita, e Orazio Costa come maestro”.  Questa parte del racconto della storia di Andrea Camilleri, che più ampiamente si racconta nell’intervista video, dove ricorda anche il ’68 e la contestazione degli studenti, altri allievi celebri, come Raffaella Carrà e Silvano Agosti – presente in sala all’incontro e da lui definito “un angelo” – poi le discussioni animate con Roberto Rossellini e l’incontro con Antonioni, con cui scrisse una sceneggiatura a sei mani, insieme anche alla sua amica Monica Vitti.  Come ha chiosato il professor Enrico Menduni, al tavolo della presentazione di questo numero monografico su Andrea Camilleri: “È un uomo di grande attività. Che ha vissuto dando il suo contributo a tanti aspetti dello spettacolo. Ha avuto un lunghissimo apprendistato di cui tutti dobbiamo essergli grati”. 

Nicole Bianchi
10 Aprile 2018

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