Walter Benjamin e gli altri indesiderati, secondo Ferraro

Gli indesiderati d’Europa – I sentieri di Walter Benjamin, per la regia di Fabrizio Ferraro, racconta la fuga dei rifugiati dai fascismi che hanno scritto parte del secolo scorso, tra loro il filosofo


Un sentiero tra i monti Pirenei sud-orientali per il passaggio di persone e rifugiati, migliaia nel complesso, quasi in solitaria nel film. Un transito a doppio senso come fuga dai fascismi: Franchismo, Nazismo, hanno costretto “al cammino” catalani, miliziani, comunisti, dissidenti ed ebrei. Tra loro Walter Benjamin, filosofo e pensatore eclettico, di nascita tedesca e stirpe ebraica. Una storia degli anni 1939-40 che però porta con sé una tematica vicina alla contemporaneità più recente. 

Nel film Euplemio Macrì incarna Benjamin, che fuggiva dal nazismo: un uomo malato di cuore che però, necessariamente, deve raggiungere l’altro versante, dalla Francia alla Penisola Iberica, nel silenzio rotto solo dal respiro affannoso e dal rumore dei passi sulla mulattiera. I luoghi dell’ambientazione sono: la Regione Languedoc-Roussillon, la Route Lister, la Vajol, ma anche Parigi e Roma. Gli altri interpreti: Catarina Wallenstein, Pau Riba, Marco Teti, Bruno Duchêne. 

Una coproduzione italo-spagnola, scritta, diretta e coprodotta da Fabrizio Ferraro, soprattutto documentarista e filmaker a tutto tondo, usualmente abituato a essere autore completo dei propri progetti, di cui cura anche fotografia e montaggio, e che ha presentato il film all’anteprima romana. “Questo è un cinema fatto di suono, spazi ampi, e guardarlo su grande schermo permette di sottolineare anche il tema dell’importanza della sala cinematografica. È un film che affronta un tema storico importante, prossimo all’oggi, ma non vuole entrare nella volgare analisi sociologica, spinge piuttosto sulla capacità dell’immagine di fare una stratigrafia storica. Penso che il pubblico come categoria non esista, ma vada costituito: è pericoloso parlare in nome di un pubblico. Il cinema non è fatto per dire qualcosa ma per far aprire un’esperienza umana ed estetica, altrimenti è un abuso. Questo tipo di film viene di solito rifocalizzato dentro, questo emerge dal commento di chi guarda il mio cinema”.  

E così la scena della bonifica del terreno giunge molto simbolica, verso la fine: “Come tutte le terre di confine, quella del film è di una densità pazzesca, una terra di vino. Sono agricoltori che fanno vino senza uso di chimica, cosa che fa sembrare la vite secca, invece la pazienza farà avere una vite viva e un vino buono. Lo stesso per Benjamin, che dai contemporanei era quasi deriso, come dall’amico Adorno, mentre ora è il più grande filosofo di sempre. Il nazismo sembra distante adesso, ma il camminare e il sostare – dinamiche perenni e costanti del film – servono a farci rendere conto dell’attualità di certe tematiche. Ci servono per ricordare come il proprio tempo abbia avuto una ricaduta su Benjamin. Come anche gli altri miei lavori, non ha avuto un tempo di fattura lunghissima, mentre la preparazione sì, i sopralluoghi soprattutto, che servono per trovare un accordo con il paesaggio. Altrimenti si naviga in un caos. Girato in circa tre settimane, andando lì però da ormai tre anni in ogni stagione, per conoscere quella zona dei Pirenei e la comunità, per capire la sintonia tra le due. Questo è ricaduto anche sulla scelta di tenere la lingua originale di ciascuno, per non sabotare la dimensione dell’essenza. Un film è sempre troppo rapido per quello che accade nella vita: la questione del lento o del dinamico è data dall’economia. L’esperienza umana ha bisogno della densità per raggiungere il punto, e può necessitare pochi secondi o un lungo piano sequenza. Serve la buona volontà del pubblico di essere aperto all’accadimento di qualcosa, perché poi mi interessa aprire discussioni, non che venga detto che il film ‘è carino’, altrimenti penso non abbia un senso uno sforzo produttivo importante”.  

La presenza dell’opera si registra in festival internazionali, come il Festival Cinematográfico Internacional del Uruguay e il Rotterdam International Film Festival, che ha ospitato l’anteprima mondiale, dopo la quale sta continuando una tournée europea per cineteche: esce in sala in Italia il 25 aprile, con anteprima la sera precedente a Bardonecchia, luogo adatto per sottolineare l’attualità del tema della “cittadinanza forzata”. 

Nicole Bianchi
17 Aprile 2018

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