Dalla Norvegia al Pakistan, rapita dai genitori

Cosa dirà la gente in sala con Lucky Red dal 3 maggio dopo aver vinto al Bif&st di Bari il premio per l'interpretazione, andato alla 18enne Maria Mozhdah


Cosa dirà la gente? è la domanda angosciata e angosciante che ricorre nel film (omonimo) di Iram Haq, autrice norvegese di origine pachistana, 41enne, che a questa opera ha affidato un messaggio estremamente personale e al tempo stesso di drammatica, stringente attualità. E’ di questi giorni il caso di Sana, la venticinquenne del Bresciano, trovata morta: per il suo omicidio sono stati incriminati lo zio, il padre e il fratello che l’avrebbero punita per aver rifiutato un matrimonio combinato. Tutto vero, eppure tutto ricreato con uno sguardo pieno di umana pietas e fortemente cinematografico nella vicenda raccontata nel film, che Lucky Red porta in sala dal 3 maggio e che al Bif&st di Bari ha ottenuto il premio per l’interpretazione, andato alla 18enne Maria Mozhdah, anche lei pachistana cresciuta in Norvegia, alla sua prima esperienza “adulta” dopo una serie tv per bambini. 

Maria è Nisha, una normale adolescente, molto dotata per gli studi. I genitori le vogliono bene, anzi la portano in palmo di mano, ma lei conduce una doppia vita, la notte esce di nascosto con la comitiva per andare in discoteca e quando il padre la scopre in innocenti effusioni con il suo ragazzo, norvegese, decide di rapirla e riportarla a forza in Pakistan, nonostante l’intervento dei servizi sociali. L’incubo sembra senza ritorno: addirittura il passaporto di Nisha viene bruciato e la giovane donna rischia più volte la morte. Tra le drammatiche vicende anche un incontro con i poliziotti locali che la svergognano davanti alla famiglia costringendola a girare un video porno per poi ricattare i parenti: un episodio raccontato anche in un film indiano del 2015 Masaan Tra la terra e il cielo di Neeraj Ghaywan, a conferma della sua “normalità” in queste latitudini. 

“Anche io – racconta l’autrice – a 14 anni sono stata rapita dai miei genitori e costretta a vivere un anno e mezzo in Pakistan. Ho aspettato di sentirmi pronta come regista e come persona per raccontare questa vicenda in modo equilibrato, il che significava cercare di evitare di mostrare la protagonista solo come vittima e i genitori solo come oppressori. Volevo raccontare una storia d’amore impossibile tra due genitori e una figlia, una storia che non potrà mai avere un happy ending fino a quando permarrà un’enorme distanza tra due culture”. 

Il film, con grande sottigliezza, mette in scena proprio la difficile condizione psicologica delle giovani donne musulmane cresciute in Occidente, in uno scontro di civiltà in formato familiare: per loro è ovviamente impossibile accettare pratiche come i matrimoni combinati che invece vengono considerati come assolutamente naturali dalla generazione precedente. Con notevole suspense e momenti di intensa poesia, Cosa dirà la gente mostra proprio l’impossibilità di una via d’uscita. Anche a causa della forte pressione sociale. “Cosa dirà la gente – spiega ancora la cineasta – è un’espressione molto nota ai pachistani e agli indiani. In hindi e urdu viene usata spesso nelle famiglie in cui l’onore e la tradizione rappresentano valori importanti”.    

Cristiana Paternò
27 Aprile 2018

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