Bertolucci: “Nel ’68 il germe del movimento #MeToo”

Un’interminabile standing ovation del Teatro Petruzzelli di Bari ha accolto l’arrivo di Bernardo Bertolucci, al Bif&st per una masterclass e per ritirare il Federico Fellini Platinum Award


Un’interminabile standing ovation del Teatro Petruzzelli di Bari ha accolto l’arrivo di Bernardo Bertolucci, al Bif&st per una masterclass e per ritirare il Federico Fellini Platinum Award.

Teatro tutto esaurito e grandi manifestazioni di affetto e ammirazione per il regista, che ultimamente non è comparso troppo spesso in pubblico, anche al termine dell’incontro moderato da David Grieco che seguiva la proiezione di uno dei suoi capolavori, La strategia del ragno. “Un film che non si vede da molto tempo – ha esordito Bertolucci – e che realizzai per la televisione ma con un’idea, in realtà, molto cinematografica, tanto che lo girammo a colori, nonostante i televisori nel 1970 fossero ancora tutti in bianco e nero”.

La presenza di Bertolucci al Bif&st è legata poi all’anteprima internazionale di Ultimo tango a Parigi, restaurato a cura del Centro Sperimentale di Cinematografia, con la consulenza di Vittorio Storaro per la fotografia e di Federico Savina per il suono. Il film, la cui prima uscita nel 1972 destò un tale scandalo da provocarne il sequestro e poi la messa al rogo di copie e negativo, tornerà anche nelle sale a partire dal 21 maggio in 120 copie, una parte delle quali nella versione originale che non aveva mai circolato in Italia.

Sulle traversie della pellicola, girata nella capitale francese con Marlon Brando e Maria Schneider, il regista ha raccontato: “Io, il produttore Alberto Grimaldi e Marlon Brando fummo condannati a due mesi di carcere, che poi non facemmo perché eravamo incensurati. Ma qualche tempo dopo, andando a richiedere il certificato elettorale all’anagrafe, scoprii che tra le pene accessorie c’era anche la sospensione per cinque anni dei diritti civili e che quindi non potevo votare. Questo mi ferì profondamente”.

Si è parlato del rapporto con Marlon Brando: “Lo scelsi dopo il rifiuto di Jean-Louis Trintignant, che non voleva recitare nudo, di Jean Paul Belmondo che considerava il film pornografico e poi di Alain Delon, che avrebbe accettato solo a patto di esserne anche il produttore, ciò che avrebbe provocato un conflitto di interessi per me inaccettabile. Quando qualcuno, una sera a cena a Piazza Navona, mi fece il nome di Brando trovammo il modo di rintracciarlo e farlo venire per due o tre giorni a Parigi. Il primo incontro avvenne in un hotel, io ero molto intimidito da lui ma riuscii a raccontargli la trama in un minuto e mezzo, con il mio inglese allora improbabile. Lui rimase in silenzio, guardando in basso e senza mai alzare gli occhi. Poi mi disse che stava cercando di capire quando avrei finito di muovere il piede per il nervosismo! Gli feci vedere Il conformista, gli piacque e mi chiese di trascorrere un mese a Los Angeles per discuterne con calma. Quando arrivai in città, mi venne a prendere in albergo e mi portò a casa sua in Mulholland Drive dove sarei poi tornato tutti i giorni, parlando di tutto tranne che di Ultimo tango. Ma ero contento perché avevo capito che non c’era pregiudizio da parte sua nei miei confronti e nei confronti del film”.

Bertolucci ha parlato delle sue impressioni sul restauro del film: “Ne sono stato molto contento, è una copia bellissima, risplendente, solo cosparsa di un piccolo velo che fa un po’ vintage ma che è giusto che ce l’abbia dopo tutti questi anni. Ho pensato che, se dovessi rifarlo, accorcerei le scene con la Schneider e Jean-Pierre Leaud, in certi momenti forse inutili ma probabilmente dovute al fatto che volevo che il pubblico provasse, qui e là, nostalgia della presenza di Marlon Brando. Ora aspetto il giorno in cui la Cineteca Nazionale, oltre a restaurare i film, sarà in grado di restaurare anche i registi!”

A proposito del suo rapporto con gli attori ha detto: “Sugli attori non la penso come Hitchcock che diceva di considerarli solo bestiame, anche se penso lo dicesse solo per alimentare il suo mito. Se è bestiame, allora per me è bestiame prezioso! Io devo poter amare qualcuno per potergli andare vicino con la macchina da presa e voglio che, durante le riprese, gli attori partecipino al processo creativo. Sia nel caso degli attori che delle attrici”.

Poi l’affondo: “Non ho mai accettato imposizioni da parte dei produttori sulla scelta del cast, com’è accaduto a Ridley Scott quando ha acconsentito a eliminare le scene di Tutti i soldi del mondo nelle quali recitava Kevin Spacey. Quando l’ho saputo ho mandato un messaggio al montatore Pietro Scalia perché riferisse a Scott che si doveva vergognare. E subito dopo mi è venuta la voglia di fare un film con Kevin Spacey!”

Un altro capolavoro più volte rievocato nel corso della masterclass è stato L’ultimo imperatore che nel 1988 conquistò ben nove Oscar. “Sono stato molto orgoglioso di aver portato una grande troupe internazionale nell’allora inaccessibile Città Proibita. Il film fu una specie di scommessa, un kolossal con tutti attori pressoché sconosciuti, perlopiù cinesi a parte Peter O’ Toole. La Rai sembrava interessata a produrlo ma poi dissero: ‘ma il pubblico saprà distinguere sul piccolo schermo un cinese da un altro?’. Fortuna che poi il produttore Jeremy Thomas riuscì a trovare i finanziamenti.” Sulla Notte degli Oscar: “Era tutto straordinario, mi sembrava un luna park, un circo cui prendevano parte anche tutti i miei collaboratori che vedevo premiati sul palco uno dopo l’altro. Quasi non ci credevamo. Ricordo anche quando nel mio discorso di ringraziamento equiparai Los Angeles a un grande capezzolo, ‘The Big Nipple’ dissi pensando a come New York fosse definita ’The Big Apple’. Ci fu un silenzio assoluto da parte del pubblico americano, notoriamente puritano. Ma il giorno dopo, mentre ero in taxi, sentii alla radio un disc-jockey che diceva di stare trasmettendo da ‘The Big Nipple’”!

Sul suo modo di lavorare sul set, Bertolucci ha ricordato quanto gli disse una volta Jean Renoir, di cui è stato un grande ammiratore e che andò a trovare a Los Angeles, quando il grande regista era ottantenne: “Alla fine del nostro incontro mi disse: ‘ricordati di lasciare sempre una porte aperta sul set, perché non si sa mai chi potrebbe entrare’. È proprio questa, secondo me, la bellezza del cinema, lasciare passare uno spiffero della vita vera è qualcosa che aiuta la mia creatività e quella dei miei collaboratori. Quando ho girato per qualche giorno a Hollywood, in occasione di un mio film, mi sono reso conto di quanto gli americani tendano a rispettare sempre lo storyboard. Capisco quanto questo possa aiutare l’efficienza di una produzione ma a me piace non sapere quello che sto facendo”.

Quanto ha contato il ’68 nella formazione e nell’arte di Bernardo Bertolucci?: “Ero già grande, lo osservavo dall’esterno ma mi piaceva molto assistere a quello che stava succedendo in Italia e in Francia, mi piaceva pensare che si potesse cambiare il mondo. Ripensandoci oggi mi rendo conto che quel periodo ha liberato in me certe forze, facendo sì che mi allontanassi da un cinema che fino ad allora era una sorta di autoconfessione personale per farne uno più aperto al pubblico, più dialogante, come poi fu appunto Ultimo tango a Parigi. E penso anche che il ’68 abbia gettato il seme di un movimento come quello #MeToo che mi vede totalmente d’accordo”.

Cristiana Paternò
28 Aprile 2018

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