Eva Husson e la battaglia delle donne

Si chiude con un appello alle donne perché investano nel film delle donne, la conferenza stampa di Eva Husson. La 41enne regista francese è in concorso con Les filles du soleil


CANNES – Si chiude con un appello alle donne perché investano nel film delle altre donne, la conferenza stampa di Eva Husson. La 41enne regista francese, all’opera seconda dopo Bang Gang Une histoire d’amour moderne, ha avuto l’onore del concorso, non tanto per meriti artistici (il suo film, nonostante le ottime intenzioni, soffre di una eccessiva povertà di linguaggio e di un surplus di retorica) quanto per l’impegno. Anche grazie alla storica montée des marches che ha visto protagoniste 82 donne, diventando un simbolo delle rivendicazioni di parità.

In effetti Les filles du soleil, che in Italia uscirà con la BIM, nasce dalla precisa volontà di portare sulla ribalta internazionale la straordinaria esperienza dei battaglioni di donne curde, in prima linea contro l’Isis. Storia già raccontata dal cinema – si veda ad esempio il documentario di Stefano Savona Primavera in Kurdistan – che qui assume i toni di un melò bellico. Protagoniste due donne: Bahar (Golshifteh Farahani) è un’avvocata curda con studi a Parigi. Suo marito è stato ucciso, suo figlio rapito da Daesh per essere allevato tra i bambini kamikaze, sua sorella si è suicidata dopo essere stata stuprata, lei stessa è stata violentata e venduta più volte. E’ riuscita a fuggire alla prigionia grazie al rocambolesco intervento di un’attivista curda e si è arruolata al grido di “Donne, Vita e Libertà” diventando l’audace comandante di una squadra tutta al femminile. L’altra protagonista è Mathilde (Emmanuelle Bercot), una fotoreporter di guerra che ha perso un occhio in azione e che rischia la vita per documentare la battaglia di queste Figlie del sole.

“Per il personaggio di Mathilde mi hanno ispirato in particolare due figure – racconta Eva Husson – Marie Colvin, la giornalista statunitense morta durante l’assedio di Homs in Siria, e Martha Gellhorn, che iniziò a fare la reporter nel 1936, durante la guerra civile di Spagna e continuò a lavorare fino a 80 anni”.  Nonostante l’intenso lavoro di documentazione, Les filles du soleil sceglie come si diceva la strada della fiction pura. “Abbiamo incontrato molte donne curde che sono state ridotte a schiave sessuali, che spesso hanno partorito in prigionia e hanno avuto la forza di ribellarsi. Erano ansiose di raccontare la propria storia. Ma poi ho voluto introdurre la soggettività, che credo permetta allo spettatore di fare un bel viaggio dentro questi fatti. Il mio film non è un documentario, piuttosto trasmette delle emozioni: l’attesa, i momenti di esaltazione, il caos, la paura… Ci sono situazioni che solo la finzione può restituire. Per esempio nessuna reporter ha mai osato diventare una schiava sessuale per raccontare cosa vuol dire. Solo adesso la donna comincia ad emergere nel cinema, in un certo senso siamo delle pioniere, ed è un momento esaltante perché la società sta finalmente cambiando”.

Husson racconta che due sono state le molle che l’hanno spinta a inseguire questo progetto. “Il ricordo di mio nonno, che era antifascista e si è battuto nella Resistenza, e l’esaltazione per la storia di queste donne curde che si ribellano e riconquistano la propria dignità in situazioni mostruose. Pensate che durante l’offensiva dei jihadisti, avvenuta nel 2014, oltre 7.000 donne e bambini vennero catturati”.   

Golshifteh Farahani, la belllissima attrice iraniana capace di muoversi agilmente tra Jim Jarmusch e i Pirati dei Caraibi, ha definito Les filles du soleil “una storia che attendevo da anni. Finalmente qualcuno parla di questi argomenti. Donne che vivono situazioni atroci, ma che non accettano la loro condizione di vittime e dimostrano quanto siamo forti”. E ha aggiunto: “Ho incarnato il dolore di mia madre e delle mie antenate per tutte le ingiustizie che hanno vissuto. Liberarci dall’ignoranza ci porterà ad avere una vita migliore e anche un pianeta migliore perché se non rispettiamo le donne non rispettiamo neppure questa Terra e siamo destinati a morire tutti. Intere città sono state liberate da queste comandanti donne: i militari dell’Isis ne sono terrorizzati, basta che sentano la loro voce, perché pensano che se è una donna ad ucciderli non entreranno in paradiso”. L’ultima parola a un’altra interprete del film, la curda-tedesca Zubeyde Bulut, che chiede finalmente pace per il suo popolo martoriato da generazioni e vittima di un genocidio.    

Cristiana Paternò
13 Maggio 2018

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