Verdetto equilibrato, Italia sugli scudi

Doppio premio per l'Italia, che esce benissimo da questo 71° Festival di Cannes: all'attivo, oltre ai premi a Marcello Fonte e Alice Rohrwacher anche quello a Gianni Zanasi e al documentario di Savona


CANNES – Doppio premio per l’Italia, che esce benissimo da questo 71° Festival di Cannes: all’attivo, oltre ai premi a Marcello Fonte e Alice Rohrwacher anche quello a Gianni Zanasi e al documentario La strada dai Samouni di Stefano Savona. La giuria di Cate Blanchett, grande leader a detta dei suoi colleghi, ha schivato le trappole della banalizzazione del gender – una battaglia importantissima ma assai delicata – firmando un verdetto di raro equilibrio e sostanzialmente condivisibile. A partire dalla Palma d’oro andata al giapponese Shoplifters di Kore-eda Hirokazu, un film che sembra fatto di poco ma racconta invece con grazia e con ottimo stile il tempo contemporaneo, fatto di crisi economica e di famiglie che si rompono e si ricompongono come possono, attraverso le avventure di un consesso familiare sui generis che si arrabatta tra lavoretti e piccoli furti nei supermercati. Ma c’è stata una doppia Palma speciale – e giustamente – per il lavoro di Jean Luc Godard, “un artista – ha detto Cate Blanchett – che sfida la forma e continua a reinventare il cinema”. Lui, naturalmente era assente, ma ha seguito la cerimonia sul telefonino “Pensiamo che il premio gli farà piacere – ha commentato la produttrice di Le Livre d’image – faremo come i Re Magi e glielo porteremo”. Il Premio per la sceneggiatura, Alice Rohrwacher l’ha condiviso con Nader Saeivar e Jafar Panahi, per Tre facce. Anche qui un regista assente, ma a causa di un’inaccettabile interdizione che gli impedisce da anni di viaggiare all’estero nonostante le proteste internazionali. La figlia ha portato un suo messaggio: “Mio padre vuole onorare Abbas Kiarostami, ricordando che lo andò a prendere all’aeroporto quando vinse la Caméra d’or. Purtroppo, è morto, dice, sennò stasera sarebbe con me a Teheran per seguire la cerimonia in tv”. E ha aggiunto: “Non credo che la sua situazione possa cambiare grazie a questo premio, perché la situazione è complicata, speriamo che la prossima volta possa essere qui”.

Cate Blanchett, regale in abito nero abbottonato sul davanti con enorme fiocco rosso sulla schiena, ha voluto rendere omaggio a Panahi e al cineasta russo Kirill Serebrennikov, “due registi che per motivi politici non possono essere con noi”, due autori che al Festival sono stati rappresentati da una sedia vuota. Un momento forte, urticante, della serata è stato l’intervento di Asia Argento, chiamata a consegnare il premio per interpretazione femminile all’attrice kazaka Samal Yesliamova per Ayka. Asia è tornata a parlare di Harvey Weinstein, lanciando un anatema contro il produttore: “Nel ‘97 sono stata stuprata a Cannes, avevo 22 anni. Voglio fare una predizione, Harvey non sarà mai più il benvenuto in questa comunità. Ma ancora oggi, seduti in sala, ci sono coloro che hanno permesso questa condotta. Noi sappiamo chi siete e non permetteremo che possiate farla franca, questo accadrà mai più”. Per Spike Lee e il suo Blackkklansman, commedia fortemente politica sul razzismo dell’America di ieri e di oggi, atto d’accusa contro Trump, il Grand Prix che il regista afroamericano ha accolto parafrasando il titolo di un film di Peter Weir: “Questo è un anno da vivere pericolosamente”. E ha aggiunto: “Il film parla da solo”, evitando qualsiasi dichiarazione urlata.

Prix du jury al contestato Capharnaum di Nadine Labaki, che molti consideravano il candidato in pectore alla Palma d’oro per seguire l’onda del #MeToo. La regista libanese è rimasta a lungo sul palco raccontando di Sidra, la bambina siriana che recita nel ruolo della sorellina del protagonista: “Oggi ha passato tutta la giornata in piedi sotto il sole a battere sui finestrini delle auto prendendo gli insulti della gente. Poi è tornata a casa, ha lavato i piatti, ha lavato i panni, ha preparato la cena… Spero che un giorno potrà andare a scuola anche lei, come tutti i bambini della Terra. Credo al potere del cinema e vorrei che servisse a farci riflettere: non possiamo continuare a voltare le spalle alla sofferenza di questi bambini, io non ho una soluzione, non so quale sarà il destino di Zain, il mio piccolo protagonista. Ma so che l’infanzia maltrattata è alla base del male del mondo. Dedico il premio ai miei attori che mi hanno aperto il cuore, al mio paese, il Libano, che si dibatte come può e ha accolto il più gran numero di rifugiati nel mondo”. E ha ammesso di sentirsi in colpa per essere qui al Festival, ben vestita e applaudita.

Miglior regista il polacco Pawel Pawlikowski per la sofisticata love story sullo sfondo della guerra fredda, Cold War, uno dei film più amati dai festivalieri. Per il cineasta, Oscar con Ida, è un premio che riporta la Polonia alla ribalta. “Forse speravano qualcosa i miei attori ed è umano sperare. Ma per me il vero motivo di orgoglio è aver riportato il cinema polacco al palmarès dopo molti anni di assenza e con un film che parla di persone e sentimenti mentre la Polonia di governo oggi ama di più la retorica nazionalista e trionfalista. Credetemi, il mio paese è anche molto altro ed è un paese aperto, colto, civile. Spero che il mio film sia utile in questo senso”.

Caméra d’or all’acclamato Girl di Lukas Dhont, storia di Lara, che aspira diventare una ballerina e soffre perché costretta in un corpo di ragazzo. Ode del regista al giovanissimo protagonista, Victor Polster, “una persona di 16 anni, e sottolineo persona, senza indicazioni di genere, che ha recitato questo ruolo senza pensare alle conseguenze”.

Cristiana Paternò
20 Maggio 2018

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