Poliziotti stupratori, dalla Tunisia una vicenda di soprusi

È ispirato a un storia vera La bella e le bestie, film di denuncia che la regista tunisina Kaouther Ben Hania ha presentato a Cannes (Un Certain Regard) e che arriva nelle sale italiane dal 26 luglio


È ispirato a un storia vera La bella e le bestie, film di denuncia che la regista tunisina Kaouther Ben Hania ha presentato a Cannes (Un Certain Regard) e che arriva nelle sale italiane dal 26 luglio con Kitchenfilm. Una storia tra le tante, spesso insabbiate e taciute che non hanno mai trovato giustizia, raccontata anche nel libro che la vittima della vicenda scrisse per denunciare i soprusi subiti e a cui il film è liberamente ispirato. Al centro della pellicola la questione femminile nel mondo arabo, ma anche in generale l’omertà, la corruzione, l’indifferenza delle istituzioni pubbliche, raccontata attraverso la storia di una giovane ragazza tunisina, Mariam, che durante un festa studentesca, si allontana per passeggiare sulla spiaggia con un ragazzo appena conosciuto, per poi ritrovarsi aggredita e violentata da un gruppo di poliziotti. Inizia per loro una lunga notte, durante la quale la ragazza dovrà combattere per i suoi diritti e la sua dignità, cercando disperatamente giustizia proprio nella tana dei suoi aggressori che fanno di tutto per dissuaderla dal denunciare.

Il film è strutturato in una successione di nove episodi, composti da altrettanti piani sequenza, che catapultano lo spettatore all’interno del dramma reale di questa giovane ragazza, costretta a vivere la tensione e l’angoscia crescente di un incubo dagli echi kafkiani, che la lascia imprigionata tra le maglie di una burocrazia che non rispetta la sua dignità di essere umano, in un sistema sociale che nega il rispetto dei suoi diritti fondamentali e tratta con disprezzo e indifferenza la sua tragedia personale.

La bella e le bestie è un film sui diktat delle istituzioni più ancora che sullo stupro – sottolinea la regista Kaouther Ben Hania – Ecco perché la violenza viene commessa da agenti di polizia, in altre parole coloro che incarnano il monopolio della violenza simbolica nella società”. Le società moderne sono fondate sull’idea che gli individui siano protetti da pubblici ufficiali, e che soprattutto in stato di emergenza, come può essere considerato il mondo dopo l’11 settembre, è meglio chiudere la bocca per quanto riguarda gli abusi della polizia se si vuole evitare la guerra civile e la minaccia del terrorismo. Tanto che una delle tattiche utilizzate da uno dei poliziotti che cerca di zittire Mariam consiste nel sottolineare che una società in costruzione ha bisogno delle forze di polizia che non possono essere danneggiate. “E’ quel tipo di ricatto che tutti conosciamo e che consiste nell’opporre la sicurezza alla libertà, come se non potessero convivere. Così facendo, per avere una forza di polizia forte, devi darle potere assoluto e girarti dall’altra parte per non vedere quando questa commette crimini”.   

Ad interpretare la ragazza l’attrice di origine tunisina Mariam Al Ferjani, diplomata alla scuola Visconti di Milano, contratto regolare a tempo indeterminato da interprete, che ad un certo punto è stata convocata  al posto di Polizia di Frontiera a Malpensa ed invitata a lasciare il territorio italiano perché lo Stato italiano non le ha riconosciuto né il titolo di studio, né il contratto di lavoro. Una vicenda personale, non ancora risolta: Mariam infatti è tuttora in attesa del rinnovo del suo permesso per rimanere a Milano, dove ha casa, ha studiato e si è laureata.

Carmen Diotaiuti
20 Luglio 2018

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