L’Isis pronto a rinascere da vedove e bambini

Porta alla luce la complessità di un conflitto tutt’altro che sepolto Isis, Tomorrow di Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi, alla Mostra Fuori concorso


VENEZIA – È eticamente lecito provare empatia, o comunque comprensione, rispetto al dolore dei carnefici e provare un brivido per l’esercizio, legittimo e condivisibile, delle ragioni delle vittime? Anche quando i carnefici sono le famiglie dei miliziani dell’Isis – il male assoluto, il grande monolite nero contro cui tutto è lecito- e le vittime i civili che combattono il Califfato? È questa la sensazione scomoda che emerge dall’importante testimonianza che la giornalista e reporter Francesca Mannocchi insieme al fotografo di guerra Alessio Romenzi portano in selezione ufficiale, fuori concorso, alla Mostra con il documentario Isis, Tomorrow – The Lost Souls of Mosul che porta alla luce tutta la complessità di un conflitto che è tutt’altro che sepolto. Settanta ore di girato, frutto di una decina di viaggi a Mosul nell’arco di un anno e mezzo, a partire dall’autunno 2016, nelle fasi finali della grande guerra per recuperare la capitale simbolica dell’Isis, liberata lo scorso anno. 

Prodotto da FremantleMedia Italia con Rai Cinema e distribuito a settembre in Italia con la ZaLab di Andrea Segre, il film ripercorre i lunghi mesi del conflitto, e poi del dopoguerra, cercando una risposta al cosa significhi essere un figlio dell’Isis in un paese – l’Iraq – che ha combattuto una guerra priva di pietà. “Abbiamo voluto raccontare gli esseri umani che c’erano dietro questa guerra, dare voce ai bambini che vedevamo nei video di addestramento dell’Isis, alle donne che sempre troppo erano rappresentate solo come vittime obbligate all’obbedienza dai mariti, succubi e non coinvolte nella struttura dell’Isis. Ci siamo trovati di fronte a un racconto più complesso, pieno di sfumature, in cui abbiamo voluto umanizzare i colpevoli. Noi stessi abbiamo fatto un passaggio di comprensione che a volte ci ha colpito, non è facile trovarsi di fronte a una donna affiliata Isis orgogliosa della sua condizione e riuscire a trovare l’empatia necessaria a capire lei e il suo dolore”.

Il film solleva grandi interrogativi sulla difficile fase della ricostruzione, spirituale ma anche materiale, dietro la quale aleggia il grande spauracchio di una guerra non vinta. Un dopoguerra di vedove bambine e ragazzi marginalizzati, in cui il sangue della battaglia lascia spazio alle vendette e alle ritorsioni quotidiane, alla violenza come sola risposta alla violenza. L’Isis è stato cacciato ma forse non è stato sconfitto, il mostro è pronto a risorgere e a farlo dalla sue stesse ceneri. I semi la parte più debole del conflitto, quei bambini e ragazzi cresciuti nella violenza, che hanno vissuto sotto gli anni dell’occupazione dei miliziani dello Stato islamico, orfani figli di civili o combattenti, uniti dal dolore e separati dalle scelte dei padri, addestrati ad odiare il Califfato e i suoi esponenti o ad ammazzare e lasciarsi morire in nome del martirio.

500mila bambini, il cui destino, a un anno dalla sconfitta dello stato islamico, è la vera sfida del futuro nel difficilissimo processo di ricostruzione che non riguarda solo l’Iraq ma anche tutti noi occidentali. Una generazione di possibili futuri jihadisti che rischia di essere ancora più spietata e radicale dei loro padri, perché cresciuta in una violenza continua e senza scampo, che continua ad essere alimentata ancora oggi dal risentimento del sentirsi abbandonati dallo Stato incapace di far fronte ai loro più basilari bisogni. Sono i figli di Isis, cuccioli del Califfato che aspirano a farsi saltare in aria in battaglia, figli di vedove di miliziani, isolate e additate dalla comunità, che appaiono come figure dolenti ma non pentite, che sembrano non aspettare altro che il momento giusto perché la ruota si capovolga e a subire sia l’altra parte. 

“Le persone incontrate hanno una straordinaria consapevolezza della circolarità storica –  sottolinea Mannocchi – sanno che ora c’è la bassa marea, ma devono solo sedimentare e far crescere i semi. Non importa il singolo, tranquillamente disposto ad essere martire e farsi uccidere. Anche l’appello dell’altro giorno in cui il Califfo chiede pazienza e ricorda che aver perso le capitali non conta ma l’importante è aver mantenuto l’ideologia, mostra una vitalità tutt’altro che seppellita. Quando l’Isis è nato dalle ceneri del’Isi l’ha fatto da 400 miliziani rimasti in vita, oggi le Nazioni Unite stimano che sul campo ci siano 30mila miliziani. L’Isis ha lasciato un arsenale, che non sono armi ma bambini. Se continua così l’Iraq che vedremo tra dieci anni sarà in una situazione ben peggiore di quella che abbiamo raccontato oggi”.

Carmen Diotaiuti
30 Agosto 2018

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