Vita quotidiana di Jan Palach, martire della protesta ceca

Robert Sedláček porta alla Festa un biopic che ci mostra chi era lo studente di filosofia che si trasformò in torcia umana per protestare contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia


La storia del più celebre martire ceco, Jan Palach, è già stata tradotta sullo schermo in una serie HBO diretta da Agnieszka Holland (Burning Bush), poi riadattata per il cinema. Ora il documentarista Robert Sedláček porta alla Festa in selezione ufficiale un biopic di impianto televisivo che ci mostra chi era lo studente di filosofia poco più che ventenne che si trasformò in torcia umana per protestare contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1969: quando i carri armati schiacciarono una stagione libertaria. “Volevo raccontare la tragica storia di Jan Palach – ha spiegato il regista – che non è quella di una puerile e spontanea lotta contro il totalitarismo, ma un esempio di come l’oppressione possa portare un individuo sensibile a gesti estremi. Quella mattina, Jan parlò con sua madre, fece un piccolo spuntino, scherzò con un compagno di stanza del dormitorio e fece una doccia prima di dirigersi in città. Nel suo volto – afferma Sedláček – cerchiamo di cogliere i momenti in cui prese la sua decisione”. E aggiunge: “Non volevo che il film fosse legato solo al passato, ma che facesse riflettere anche sulla realtà di oggi. Questo non è un film ideologico, ma c’è una presa di posizione contro un certo tipo di potere, attraverso un personaggio che è diventato un simbolo di lotta”. E ancora, sui riferimenti al presente e in particolare al terrorismo odierno: “C’è una profonda differenza. Palach ha rivolto il senso di rabbia e impotenza che provava contro se stesso; ha compiuto un atto terroristico nei confronti della coscienza del proprio popolo. Quando invece i terroristi oggi compiono un attacco mortale, sia nella loro società che nella nostra, ci colpisce la barbarie contro persone innocenti”. 

Il film, che decolla veramente solo negli ultimi venti minuti, quelli della preparazione e della messa in atto del gesto suicida, parte dall’infanzia di Jan, che si smarrisce nella neve insieme al suo cane, e ce lo restituisce come un ragazzo sensibile e idealista, ma anche profondamente ribelle, che non vuole appartenere a nessuno, neanche a Helena, la ragazza malata di polio che frequenta da tempo e che si considera la sua fidanzata. La sceneggiatrice Eva Kanturková semina indizi e premonizioni lungo il percorso delle due ore di durata: un accendino che Jan riceve in dono dall’amico Komsomol, come gesto di gratitudine per averlo salvato dalla radiazione con la sua dialettica limpida e il suo coraggio; le notizie e le foto che arrivano dal Vietnam dove i bonzi si danno fuoco per protestare contro le scelte della politica; il rogo dei volantini di propaganda sovietici che distorcono i fatti.

Attorno al giovane Jan, ragazzo come tanti, si muovono i grandi eventi storici, lui fa parte del movimento studentesco praghese ma di quelle occupazioni e di quei cortei non si accontenta più, alza impercettibilmente la posta, disposto a tutto per opporsi all’indifferenza che sta via via prendendo il sopravvento mentre la protesta viene ricacciata indietro da una repressione sempre più violenta. Il suo gesto estremo, spiegato in una lettera struggente e al contempo agghiacciante per la sua lucida follia, è un atto contro la censura e a favore dello sciopero generale e illimitato del popolo ceco, un tentativo di risvegliare le coscienze. Un gesto imitato da altri due oppositori al regime sovietico che tuttavia mantenne il controllo della Cecoslovacchia per vent’anni, nonostante tutto.

Nel cast si distinguono il protagonista, Viktor Zavadil, con la sua faccia semplice e pulita, e soprattutto Zuzana Bydžovská nel ruolo della madre, donna pragmatica e spiccia che ha aderito al partito per mandare avanti la baracca dopo che il marito, pasticcere rovinato dal socialismo, è morto di crepacuore.

Cristiana Paternò
23 Ottobre 2018

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