La Terra vista dall’iperspazio

Marco De Angelis e Antonio Di Trapani ottengono una menzione speciale per la sperimentazione linguistica a Pesaro con il loro film saggio


PESARO – Sei film e tre premi, per il concorso pesarese, giudicato da diciassette studenti di università e scuole di cinema italiane. Il Premio Lino Micciché per il miglior film è andato a Un jeune poète di Daniel Manivel (Francia) peregrinazione senza meta del diciottenne Remì in una cittadina di mare alla ricerca di un’impossibile ispirazione poetica. Menzione Speciale al cast del cileno La madre del cordero di Enrique Farías & Rosario Espinosa che raccontano la liberazione di una figlia che, alla soglia dei cinquant’anni, scopre la vita lontana dalla madre vedova di cui si è sempre occupata. Menzione Speciale alla sperimentazione linguistica di Terra di Marco De Angelis e Antonio Di Trapani “per la sua natura innovativa, la sua complessa mappatura simbolica e per la scrittura visiva che trascina lo spettatore dentro ed oltre le immagini”.

Film saggio volutamente ermetico, annunciato dal direttore Pedro Armocida come “un Ufo del cinema italiano”, Terra ha conquistato l’entusiasmo dei festivalieri più puri. Prodotto da Emanuele Nespeca con il Centro di Produzione Audiovisivi dell’Università di Roma Tre, prende spunto da una vaga idea di fantascienza – la Terra rischia la distruzione, un extraterrestre dalle sembianze umane osserva e giudica uomini e donne – per il gusto di lavorare su materiali di repertorio in complesse stratificazioni accompagnate da citazioni musicali. Tra aforismi di Nietzsche e pagine della Recherche di Proust, uniti a spunti di riflessione autonomi, i due registi, che con l’esordio Tarda estate erano stati alla Mostra di Venezia in Controcampo italiano, si fanno notare per il gusto godardiano del palinsesto visivo. Nel film ci sono anche degli attori, ma più che attori sono presenze (Hal Yamanouchi, Angela Carbone, Luigi Iacuzio, Andrei Shchetinin, Banchiayeho Girma) e risuonano le voci un regista di culto come il brasiliano Julio Bressane, di Lou Castel, Franco Nero e Hélène Sevaux.

Un progetto produttivamente ardito che Emanuele Nespeca ci ha spiegato così: “Viviamo nell’impossibilità di finanziare opere come questa. Terra, per la legge italiana, è un cortometraggio perché dura meno di 75 minuti. In mezzo c’è un altro oggetto che non ha trovato una sua forma e che adesso dovrebbero riuscire a ultimare. Sono indipendenti ad oltranza. Lavorano da soli, senza troupe e li forzo a scrivere una struttura narrativa per poter accedere ai finanziamenti”. E aggiunge: “Noi produttori siamo spaventati a produrre cose marginali, sembra ormai quasi pericoloso usare la parola cinema perché al cinema non ci va più nessuno, semmai si deve tentare di fare qualcosa di più televisivo oppure le web series, per attirare più pubblico”. Per lui “ogni avanguardia, anche nel campo della moda, ha un settore di ricerca che serve a creare nuove visioni. Possono piacere o non piacere, essere comprensibili o non comprensibili, ma sono necessarie. Per sostenere questo tipo di ricerca è molto utile una legge come quella francese o come il sistema in vigore nella Regione Lazio che garantisce un finanziamento selettivo e uno automatico e che dunque ci ha aiutato”.

Difficili da finanziare, i due autori sono refrattari ai riferimenti. Se gli parli di Terrence Malick sgranano gli occhi. De Angelis lo definisce un magnifico impostore. “A dispetto di quella che vorrebbe essere una continua dimensione panica, sembra che ci sia sempre un controllo assoluto, ogni filo d’erba che accompagna i destini dei vari personaggi è legato a una sorta di algoritmo della sensibilità, che credo non sincero. Pur riconoscendo la sua formidabile importanza, non sono tra quelli che inneggiano a The Tree of Life. Anche Enrico Ghezzi è rimasto infinocchiato”. A loro due manca la volontà programmatica, “noi ingenuamente ci avviciniamo con una certa spontaneità, facciamo tutto in modo più primitivo”, aggiunge Di Trapani. “Ammiriamo Godard nelle sue parabole più limpide, per noi sarebbe un riferimento ma non pedissequo”. Più congeniali come numi tutelari nell’assemblaggio di materiali gli esempi alti di cinema saggio, alla Guy Debord. “O il Pasolini de La rabbia. Anche se non abbiamo la stessa tempra poetica e oltranzista. Quelle opere hanno una profondità, una poeticità, un impianto ideologico più forte e compiuto. Noi volevamo non allontanarci troppo dalla possibilità di addolcire con una flebile narrazione di finzione che non riusciamo a eludere del tutto, il finto documentario”.

Portatori di un’esigenza quasi autistica di autodeterminazione come si muovono i due in un’arte collettiva come il cinema? “È quello il guaio, questa dimensione sociale è il vero problema del cinema – dice ancora De Angelis – non siamo riusciti neanche a fare ricorso al crowdfunding, ci sarebbe sembrato insincero”. Sentono di appartenere a un movimento del nuovo cinema, quello che Pesaro sta cercando di identificare? “Non ci interessa sapere cosa è il cinema sperimentale in Italia, non lo conosciamo. Non ci interessa sapere se c’è una scuola, sarebbe un orrore se ci fosse o anche se non ci fosse, siamo abbastanza individualisti da poter essere sia fascisti che comunisti, dalla nostra tana dove torniamo dopo due secondi dalla fine del festival”. Poi qualche nome glielo strappiamo, sia pur faticosamente. “Mauro Santini che conosciamo e apprezziamo per i suoi lavori da piccolo Ulisse della memoria, Carlo Michele Schirinzi, oltranzista del cinema più appartato, alcuni videoartisti. All’interno di una presunta corrente è interessante quando si trovano delle realtà sincere. Essere fuori dal coro non garantisce un’integrità, una ragion d’essere superiore rispetto a chi è integrato. E io non credo alla democrazia del gusto”, conclude De Angelis, il più loquace dei due. All’ingente e affascinante materiale di repertorio hanno lavorato come se tutto, anche le scene girate con gli attori, fosse il reperto di una civiltà delle immagini in via di estinzione o già estinta. “Guardando tra i film di pubblico dominio, perché non possiamo permetterci di pagare i diritti, abbiamo preso quello che ci piaceva di più”. Infine perché lavorano insieme? “Perché la gente si sposa? Ci siamo conosciuti in un festival, a Bellaria, abbiamo fatto un cortometraggio, poi un altro. Siamo amici? Non so, ci facciamo coraggio dopo esserci scannati”.  

Cristiana Paternò
27 Giugno 2015

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