Il ’68 di Wilma e Barbara

All’incontro “50 anni dopo. Che tracce ha lasciato il ’68 sul cinema italiano?”, promosso dalla rivista 8½ nel corso del TF , la regista Wilma Labate e l'attrice Barbara Bouchet ricordano il loro '68


TORINO. I tre film amati in quel lontano 1968 dal critico e docente di cinema Gianni Canova? 2001: Odissea nello spazio, La notte dei morti viventi e C’era una volta il West. Un grande classico e due indimenticabili film di genere aprono così “50 anni dopo. Che tracce ha lasciato il ’68 sul cinema italiano?”, l’incontro promosso dalla rivista . Un appuntamento nel corso del TFF in occasione del n. 38 della rivista che ha dedicato la sezione scenari a quell’anno in cui la protesta di giovani e studenti ebbe il suo apice con il maggio francese. Accanto a Canova, nella veste di moderatore, a intervenire sul tema sono la regista Wilma Labate e l’attrice Barbara Bouchet, due punti di vista, due esperienze differenti per come hanno vissuto quella fatidica data.

Wilma non si ritiene un’esperta del ’68 e ricorda che all’epoca “era ignorante, andavo a tutte le assemblee ma capivo poco. Andavo tantissimo al cinema e il fatto di andare da sola, io ragazza, era già un atto rivoluzionario”. Alcune sale romane programmavano rassegne di Antonioni, Bresson, Buñuel, Bergman, e Wilma era sicura di trovare in sala sempre degli amici con i quali poi discutere a fine proiezione. Quel dopo cinema fatto di dibattito vivace che l’ha formata. “Ero passata da una condizione di adolescente chiusa tra le pareti domestiche a una giovane che viveva i grandi eventi della città”. Come quella volta che Wilma si ritrovò nel pieno di una bagarre al cinema Rialto dove si programmava La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo. Wilma era giù in platea insieme a quegli spettatori che rispondevano con slogan ai fascisti che dalla galleria disturbavano la proiezione con insulti, sputi, lancio di oggetti. Ma il ’68 Wilma l’ha appena rivissuto con il film Arrivederci Saigon, distribuito da Luce Cinecittà e presentato all’ultima Mostra di Venezia. E’ la storia del complesso musicale femminile le Stars – Rossella, Viviana, Daniela, Franca, Manuela – che in pieno ’68, dalla Toscana rossa del PCI e delle fabbriche, per contratto con un’etichetta discografica, andò in tournée in Estremo Oriente. E si ritrovarono nel Vietnam del sud a suonare e cantare per i soldati  americani nelle basi militari del Vietnam dove si consumava il conflitto con la resistenza viet cong.

Barbara Bouchet è stata alla fine degli anni ’60 e ‘70 l’icona sexy dell’immaginario maschile italiano, ma non solo perché il suo nome lo ritroviamo in quasi 100 titoli che spaziano da James Bond 007 – Casino Royale alla serie tv Star Trek, da Gangs of New York di Scorsese al recente Metti la nonna in freezer. Il suo vero nome è Bärbel Gutscher, e siccome nasce in una cittadina tedesca durante la guerra, poi diventata cecoslovacca dal 1945, si ritrova sfollata con la famiglia in un campo profughi, per poi emigrare negli Stati Uniti. A 15 anni, è il 1959, lascia la famiglia e se ne va a cercare fortuna a Los Angeles dove comincia la trafila dei provini per il cinema e la televisione. Il colpo di fortuna, conquistato dopo una lunga gavetta, arriva con  la partecipazione a un grande film internazionale Casino Royale (1966), dal budget stratosferico, costato un anno e mezzo di lavoro. “Con lo stesso produttore ho fatto un altro film e uno spettacolo teatrale, ma la collaborazione si è improvvisamente interrotta a causa della sua morte. Ho cercato subito un nuovo contratto e mi sono imbattuta, era la seconda volta, in un #MeToo, cioè un uomo potente a cui ho detto di no e lui per tutta risposta mi ha detto ‘Io ti distruggo’. Mi sono informata e in effetti poteva farlo perché era l’avvocato Paramount della mafia. Ho fatto subito le valigie e da Hollywood sono andata a New York, ricominciando daccapo, facendo la modella. Ed è lì che il mio agente mi propone un incontro con due produttori italiani che appena mi vedono mi dicono di tingere i capelli di nero e cambiare il nome. La parrucca sì ma il nome no, rispondo scocciata. Tuttavia mi piaceva comunque l’idea di venire in Italia e qui sono rimasta, innamorandomi di un italiano napoletano”.

Barbara, arriva nel nostro paese senza sapere nulla del ’68 ma mettendosi a fare film che se non ci fosse stato il ’68 non sarebbero stati possibili perché trasgredivano quello che un tempo si chiamava il comune senso del pudore. “Io non avevo questo problema, essendo la prima figlia di cinque fratelli, ero abituata a vivere nella stessa stanza, la toilette era in comune, non conoscevo la vergogna”. La sua bellezza è ampiamente sfruttata, in un solo anno, nel 1972, le viene chiesto di lavorare con la media di un film al mese. “Entravo ed uscivo da un set all’altro passando da un horror al poliziottesco, dal thriller alla commedia sexy. Questo era il ghetto in cui ero stata rinchiusa ma che mi permetteva di vivere decentemente e di viaggiare”. Il suo primo film italiano è stato Colpo rovente, un poliziottesco che aveva tra gli sceneggiatori Ennio Flaiano, tra gli interpreti anche Carmelo Bene. “Per vivere ho dovuto adeguarmi alle offerte lavorative che ricevevo. Ho interpretato i cosiddetti B-Movies che avevano un grande successo popolare e portavano molti soldi nelle tasche dei produttori, ma che la critica di allora stroncava. Se io ero riconosciuta come la bionda di queste pellicole scollacciate, Edwige Fenech era la nera, anche lei si faceva notare nello stesso filone cinematografico alla fine degli anni ’60”.

Tra i tanti estimatori della bionda, va ricordato Quentin Tarantino, che incontrò una prima volta alla Mostra di Venezia nel 2004, quando il regista americano, – racconta l’attrice – garantì la sua presenza alla rassegna “Italian kings of the B’s”a patto che potesse conoscere e incontrare Barbara. “Quentin è una persona simpatica, è un mio fan ma non posso non rimproverargli di avermi dato buca in altre occasioni. Come quella volta che mi chiamò per partecipare ad una rassegna dei miei film a Los Angeles. Fu carino il primo giorno quando sul palco insieme presentammo la retrospettiva, poi il giorno dopo scomparve. Inutili i tentativi di rintracciarlo, si era dato e così  rimasi sola a rivedere quei miei film che ben conoscevo. Quentin? Un uomo inaffidabile”.

 

Stefano Stefanutto Rosa
28 Novembre 2018

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