Nanni Moretti: “Per questo film volevo la semplicità”

Il regista incontra il pubblico al Torino Film Festival prima della proiezione di Santiago, Italia, il suo documentario sul Cile di Allende e il colpo di stato di Pinochet


TORINO – Accolto con grande calore da un applauso intenso, Nanni Moretti fa finalmente la sua apparizione nella sala 3 del Reposi per introdurre il film di chiusura di questa edizione del festival, Santiago, Italia, che Emanuela Martini definisce “un film bello, commovente e giusto che ci collega alla nostra storia”.

La sala è affollata, il pubblico ha fatto un’ora di fila per entrare e qualcuno è rimasto fuori. Per Nanni è l’assist per una battuta che strappa il sorriso dei presenti, la complicità dei torinesi che l’hanno conosciuto bene quando era alla guida del festival: “Fate entrare quelli che stanno in strada, hanno detto che è tutto esaurito ma non è così, quando ero direttore queste cose non succedevano”.

Racconta la genesi di questo progetto molto sentito e ci sono tanti giornalisti, tante tv a sentirlo parlare, perché il regista romano ha preferito evitare la conferenza stampa di rito. “E’ cominciata un anno e mezzo fa, ero a Santiago del Cile, e l’ambasciatore Marco Ricci mi ha raccontato una storia italiana di cui andare fieri. Nel 1973, al momento del golpe, avevo 20 anni. Fui testimone di questi fatti ma li avevo dimenticati. L’allora ambasciatore era in Italia perché stava morendo suo figlio e quindi il numero due e il numero tre dell’ambasciata si trovarono a gestire la situazione con i tanti cileni che si rifugiarono in ambasciata e rimasero lì per mesi, in attesa del lasciapassare. La prima intervista l’ho fatta a uno dei due diplomatici, Roberto Toscano, che vive in Spagna ed era di passaggio a Roma. Dopo di lui ho intervistato varie persone, cileni che vivono in Italia. Poi mi ero fissato che volevo intervistare i cattivi, i malos. Chiedevo: riusciamo entrare a Punta Peuco, un carcere per privilegiati dove ci sono ex miliari della dittatura?”.

La risposta è nel film che, a partire da 40 ore di girato, è arrivato all’ora e mezza attuale attraverso un lungo percorso di montaggio. “Un anno fa eravamo a 12 ore, poi 6, poi 2. Ma c’era ancora qualcosa di troppo. Il ritorno della democrazia, Pinochet arrestato, il Cile di oggi, i giovani cileni e cosa sanno della dittatura… Mi sono accorto che il film doveva finire in Italia e raccontare una storia italiana di cui andare orgogliosi. Proprio oggi che un grande pezzo della nostra società va in direzione opposta all’accoglienza e alla solidarietà”. E poi: “Tra Italia e Cile, all’epoca, c’erano tante analogie. C’era la Dc, i socialisti, i consigli di fabbrica, la sinistra extraparlamentare. L’Italia ha vissuto con grande partecipazione l’esperienza di Allende, poi troncata dai militari”. 

Oggi la commozione è ancora forte nei testimoni di quei fatti, molti dei quali vivono in Italia. “45 anni dopo per molti degli intervistati la ferita è ancora aperta. Volevo la semplicità che è un punto di arrivo, volevo l’umanità di queste persone e non i pareri di storici o studiosi, ma la voce di persone che hanno vissuto quei fatti e li raccontano con la loro umanità”.

Guarda il trailer del film, in uscita il 6 dicembre con Academy Two

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