Registi e attori firmano l’appello per i migranti e la nave Sea Watch 3

Roberto Benigni, Matteo Garrone, Paolo Virzì, Carlo Verdone, Gabriele Muccino, Giovanni Veronesi, Mario Martone e molti altri registi e attori tra le oltre 7mila le firme ricevute per NON SIAMO PESCI


Ci sono Roberto Benigni, Matteo Garrone, Paolo Virzì, Carlo Verdone, Gabriele Muccino, Giovanni Veronesi, Mario Martone, Antonio Albanese, Christian De Sica, Ficarra e Picone, Francesca Comencini, Francesca Archibugi e Costanza Quatriglio e molti altri registi e attori tra le oltre 7mila le firme ricevute nel fine settimana per NON SIAMO PESCI, l’appello promosso da Luigi Manconi e Sandro Veronesi con il collettivo #corpi. L’appuntamento è oggi lunedì 28 gennaio alle ore 17.00 a Piazza Montecitorio .

Di seguito il testo integrale dell’appello, per firmarlo nonsiamopesci@gmail.com . L’elenco completo dei sottoscrittori verrà pubblicato su abuondiritto.it

“Non siamo pesci”: così Fanny, fuggita da un conflitto armato in Congo e per 19 giorni a bordo della nave Sea Watch. “Non riuscirò più a parlare tra poco perché sto congelando. Fate presto”, così l’ultima telefonata giunta al numero di Alarm Phone dal barcone con circa 100 persone a bordo, al largo di Misurata, domenica scorsa. “Non ho bisogno di essere sui notiziari, ho bisogno di essere salvato”, così l’ultima risposta che uno dei 100 naufraghi lascia ad Alarm Phone.

La ripetizione di questi “non” porta in superficie quel che una semplice cronaca di quanto avvenuto nel Mar Mediterraneo nel corso delle ultime ore non riesce più a far percepire. I fatti sono questi: qualche giorno fa, in una manciata di ore, hanno perso la vita nelle acque del Mediterraneo 170 tra migranti e profughi. 47 sono stati tratti in salvo dall’organizzazione non governativa Sea Watch e circa 100 sono stati raccolti dal cargo battente bandiera della Sierra Leone e avviati verso il porto di Misurata dove, prevedibilmente, saranno reclusi in uno dei centri di detenzione, legali o illegali, della Libia. Centri dove, secondo i rapporti delle Nazioni Unite e di tutte le agenzie indipendenti, si praticano quotidianamente abusi, violenze, stupri, torture.

Intanto, l’imbarcazione Sea Watch 3 è destinata a ripercorrere quel doloroso e drammatico itinerario che già l’ha portata a cercare invano un porto sicuro per ben 19 giorni. Ciò che emerge è il deprezzamento del senso e del valore della vita umana. Sea Watch, va ricordato, è l’unica Ong oggi presente nel Mar Mediterraneo, ormai privo di qualsiasi presidio sanitario, di soccorso e di protezione dei naufraghi. Altro che fattore di attrazione per i flussi migratori, altro che “alleati degli scafisti” o “taxi del mare”: le navi umanitarie, le poche rimaste, salvano l’onore di un’Europa che dà il peggio di sé e si mostra incapace persino di provare vergogna.

Vogliamo dare voce a un’opinione pubblica che esiste e che di fronte a una tale tragedia chiede di ripristinare il rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali, e soprattutto del senso della giustizia. A cominciare con il consentire alle navi militari e alle Ong che salvano le vite in mare di poter intervenire. E a chi finge di non conoscere le condizioni di quanti – grazie anche a risorse e mezzi italiani – vengono riportati nei centri di detenzione libici, chiediamo di fare chiarezza sul comportamento e sulle responsabilità della guardia costiera libica. E sulle cause dei più recenti naufragi, come quello che ha causato, in ultimo, la morte di 117 persone, rendendo pubblici documenti, comunicazioni e video relativi.

A questo fine chiediamo al Parlamento di istituire una commissione di inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo e di realizzare una missione in Libia. Chiediamo inoltre al Governo di offrire un porto sicuro in Italia alla Sea Watch, che sabato scorso ha salvato 47 persone, senza che si ripeta l’odissea vissuta a fine dicembre davanti a Malta. E ricordiamo a tutti gli Stati europei che la redistribuzione dei migranti si fa a terra e non in mare.

redazione
28 Gennaio 2019

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