Italia al nono posto nel mondo per l’audiovisivo

La produttività nel settore audiovisivo è molto elevata in Italia e risulta terza in Europa, dopo Belgio e Germania. Nella classifica mondiale dell'audiovisivo l'Italia è al nono posto


La produttività nel settore audiovisivo è molto elevata in Italia e risulta terza in Europa, dopo Belgio e Germania. Nella classifica mondiale dell’audiovisivo, nonostante la crisi economica, l’Italia è nona (a pari merito con Australia e Canada) fra i primi dieci Paesi, dopo Cina, Usa, Regno Unito, Giappone, Germania, India, Francia, Sud Corea, con un export pari a 890 milioni di euro, molto superiore all’import settoriale, di 120 milioni. Sono fra i dati della presentazione a Roma del Rapporto “Cinema e Audiovisivo: l’impatto per l’occupazione e la crescita in Italia”, prima ricerca condotta del Centro Studi di Confindustria per Anica. (leggi qui la notizia sugli interventi di Rutelli, del premier Conte e di Vincenzo Boccia). 

Stando ai numeri, spiega lo studio, ogni euro di domanda aggiuntiva di servizi audiovisivi attiva un effetto moltiplicatore, pari a 1,98% ripartito diffusamente a vantaggio di tutta l’economia nazionale. Il moltiplicatore di valore del cinema e dell’audiovisivo è il più alto fra tutte le attività economiche dopo il settore delle costruzioni. Nel Paese il settore occupa quasi 8500 imprese con una dimensione media di 4,5 addetti. Nelle imprese di audiovisivo e broadcasting si conta un totale di 61 mila posti di lavoro diretti. Nelle filiere connesse ne sono attivati quasi il doppio, 112 mila. Tra diretti e indiretti sono 173 mila i posti di lavoro complessivi generati da cinema, audiovisivo e broadcasting. E’ un comparto che attiva lavoro giovane e femminile più della media nazionale (39% di donne, la media nazionale è del 36%). La forza lavoro è caratterizzata da una maggiore presenza di under 50 (77% contro il 73% della media nazionale) nel settore della produzione, in particolare un quarto degli occupati ha meno di 30 anni. Alto anche il numero di posti indotti dall’audiovisivo nel settore dei servizi ad alto contenuto di conoscenza: sono 43 mila, di cui 26 mila tra ingegneri, architetti, consulenti legali, designer, fiscalisti e 17 mila nelle professioni creative e artistiche.Tra i dati negativi, una produzione audiovisiva pro-capite in Italia (pari a 116 dollari) inferiore alla media europea: sono un quarto di quelli prodotti lo scorso anno nel Regno Unito e la metà circa di quelli prodotti in Germania e Francia.

La ricerca rappresenta la prima descrizione del settore attraverso indicatori che lo rendono comparabile con gli altri settori produttivi italiani e nel quadro della competizione internazionale. Indicatori che dimostrano quanto sia radicato sul territorio e come generi nuovo valore attivando ulteriore produzione in altre filiere.

Viene poi evidenziato come l’avvento della rivoluzione digitale abbia portato a livello globale cambiamenti profondi e strategici che vanno colti e interpretati affinché un settore produttivamente così fertile non rischi la marginalizzazione o si trasformi in un creatore di talenti e competenze attratti altrove. I numeri dicono che questa dinamica si tradurrebbe in ricadute negative anche sul resto dell’economia. Quello che i dati non possono leggere è il peso del soft power dell’Italia attraverso il racconto per immagini: al valore economico si affianca quello della capacità di costruire la percezione dell’Italia nel mondo, di qualificare la sua offerta culturale e industriale, di attrarre visitatori e operatori, con ricadute sui territori e sulle economie locali.

Il Rapporto è stato presentato da Andrea Montanino, Capo Economista di Confindustria e da Francesca Medolago Albani, Responsabile Pianificazione Strategica di ANICA.

Qui il link per leggere il Rapporto 

Cr. P.
11 Aprile 2019

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