Maradona, gloria e disperazione di un eroe indisciplinato

Attesissimo al festival arriva, Fuori Concorso, il docu-film che si concentra sul periodo napoletano del Pibe de Oro, Diego, Maradona del premio Oscar Asif Kapadia


CANNES – Attesissimo al festival arriva, Fuori Concorso, il docu-film che si concentra sul periodo napoletano del Pibe de Oro, Diego, Maradona del premio Oscar Asif Kapadia, che sei anni fa aveva firmato anche il ritratto di un’altra leggenda sportiva, Senna, e che qui ha lavorato su oltre cinquecento ore di immagini inedite tratte dall’archivio personale del campione argentino, frutto del lavoro per una pellicola di cui poi non se ne fece niente, commissionata dal primo agente del Pibe per testimoniare gli anni napoletani, i più sfavillanti della sua carriera. Il genio del calcio più celebre del pianeta – purtroppo oggi assente sulla Croisette per problemi fisici-  che dall’estrema povertà della bidonville arriva sulla vetta del mondo. Un sogno romantico che sembra quasi costruito apposta per quella che era in quegli anni la città più problematica d’Europa, Napoli, che lo accoglie a braccia aperte come un figlio e un salvatore. 

Una doppia anima che è quella che viene mostrata nel film: da un lato Diego, ragazzo di strada sensibile e fragile che inizia quindicenne la sua carriera giocando nell’argentino Boca Juniors, ripetendo che continua a farlo per comprare una casa alla sua famiglia. Dall’altro Maradona, il mito che ostenta sicurezza e non può avere paura di niente, che combatte contro tutto e tutti. Proprio in questo suo bisogno di lottare, che è anche spinta al riscatto sociale, sta il mito dell’eroe popolare che trova la sua motivazione nella rabbia degli ultimi. Della periferia di Buenos Aires, come della Napoli sporca e terrona, “da lavare col Vesuvio”, come inneggiavano i cori di stadio di quegli anni. Maradona ha sempre bisogno di qualcuno o qualcosa contro cui combattere, e quando sembra tutto perso, lui a sorpresa si riprende, segna goal o si rialza, in una storia continua di cadute e resurrezioni. 

Un personaggio ribelle, pieno di luci e ombre, enigmatico, carismatico, che arriva al Napoli degli Anni ’80 con un ingaggio per l’epoca straordinario (e per questo assai discusso), in una squadra abituata da quasi vent’anni a lottare per la retrocessione, e che, contro ogni probabilità, riesce nel giro di due anni a portare allo scudetto.“Non sapete che vi siete persi”, è la scritta, rivolta ai cari estinti, che compare a caratteri cubitali sul cimitero di Napoli la notte della vittoria dello scudetto. Una festa che va avanti per due mesi e consacra Maradona a dio laico della città più appassionata d’Europa che, negli anni in cui gli è fedele, gli riserva un supporto fanatico senza eguali. Sul campo, Diego Maradona era considerato un genio, fuori un dio a cui è tutto concesso. “Non si può parlare male di Maradona perché è come parlare male di Dio”, dice uno dei tifosi dell’epoca intervistato.  

Ma insieme ai trionfi arrivarono le sconfitte: la cocaina, gli scandali, le prostitute, il figlio nato fuori da matrimonio e a lungo non riconosciuto, i legami poco chiari con la camorra di cui era diventato una sorta di “testimonial”, i problemi con le tasse e con lo Stato italiano. Tutte debolezze che gli vengono coperte e perdonate finché Maradona è il dio, ma che esplodono quando si trasforma nel traditore, quella notte del 1990, durante la semifinale del mondiale Italia-Argentina, giocata nello stadio sbagliato (il San Paolo di Napoli), quando Maradona segna quel rigore di troppo che lo trasforma agli occhi dei suoi tifosi nel diavolo traditore, con tanto di giornali che titolarono “Lucifero vive a Napoli”. 

Così il calciatore più celebre al mondo, accolto al suo arrivo a Napoli da 85mila persone, va via dall’Italia in silenzio, di tutta fretta e da solo. Vittima della sua più grande caduta e con una nuova battaglia da combattere, quella contro la solitudine e la droga.  

Carmen Diotaiuti
20 Maggio 2019

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