Burning, gioventù bruciante in Sud Corea

Burning – L’amore brucia di Lee Chang-dong, ispirato al racconto Granai incendiati di Murakami, arriva al cinema dal 19 settembre distribuito dalla Tucker Film


Lee Chang-dong, autore molto amato con titoli al suo attivo come Oasis e Poetry, premiato per la migliore sceneggiatura otto anni fa a Cannes, ha affidato a Burning L’amore brucia, in sala dal 19 settembre con Tucker Film, una pseudo storia d’amore che si tinge di giallo e affronta il tema della sparizione, ma che vuole essere soprattutto uno spaccato del mondo giovanile coreano. Basato sul racconto breve “Barn Burning” (Granai incendiati) di Haruki Murakami, che viene dilatato a due ore e mezza di durata con digressioni e momenti estatici, inseguimenti e persino una parentesi processuale.

Haemi (Yong-seo Yun) è una giovane che prima seduce Jongsu (Ah-in Yoo), aspirante scrittore dalla vita sconclusionata con un padre accusato di violenze e una madre scappata di casa, poi, durante un viaggio in Africa, rimorchia Ben (Steven Yeun), giovane ricco, esistenzialista e un po’ vizioso, una specie di Gatsby contemporaneo, che vive di rendita e si vanta di dare fuoco alle serre abbandonate per puro svago. Jongsu, che ama Faulkner e si arrabatta tra lavoretti vari e la fattoria di famiglia ormai in disarmo, si occupa del gatto della ragazza. In realtà è un gatto fantasma (nel senso che non lo vediamo mai apparire quando lui va nell’appartamento per nutrirlo), come fantasmi sono i ricordi o pseudo ricordi che riemergono dal passato comune: perché Haemi e Jongsu sono cresciuti nello stesso villaggio, ai confini con la Corea del Nord, e forse lei era un po’ invaghita di lui, che (forse) l’ha salvata quando era caduta in un pozzo. Forse, forse, forse… Non si se per curiosità o per la forte attrazione che prova per lei, Jongsu subisce il triangolo a cui la ragazza lo costringe, frequentando Ben, da cui è al tempo stesso respinto e affascinato. Fino a che la scomparsa di Haemi non spinge la narrazione nella direzione del mistery con esiti imprevisti. E anche molto violenti. Tuttavia la vicenda è raccontata sempre con uno stile raggelato che non lascia spazio ad alcuna emozione.

“Quando mi sono messo a leggere il libro – dice il regista – mi sono subito accorto che era una storia molto bella ma in cui non succedeva nulla, eppure in questo nulla c’era un elemento di mistero molto affascinante che poteva essere sviluppato in un racconto cinematografico”. L’elemento che ha affascinato il regista è stato in particolare quello della rabbia: “Un’emozione che vivono persone di ogni nazionalità, condizione sociale, religione per diversi motivi. In particolare i giovani, in Corea, vivono momenti difficili, tra disoccupazione, assenza di speranze e nessuna prospettiva per il futuro. Per loro il mondo è divenuto un gigantesco puzzle”.     

Al Festival di Cannes, dove era in concorso, Burning ha ottenuto il Premio FIPRESCI per il miglior film e Vulcan Award per la miglior scenografia.

Cristiana Paternò
28 Agosto 2019

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