Mostra da record: i giovani la amano

Crescita di pubblico con un +11% rispetto allo scorso anno. Forte aumento dei giovani e degli universitari. Una tendenza sottolineata da Paolo Baratta e Alberto Barbera nell'incontro di metà festival


VENEZIA – Crescita di pubblico con un +11% rispetto allo scorso anno e 105mila presenze finora. Il presidente della Biennale, Paolo Baratta, elogia in particolare il  Cubo Rosso, ovvero la Sala Giardino. Poi dà altri dati: 60% accreditati, 40% ”bigliettati”; tra donne e uomini accreditati sostanziale parità, 50% e 50%. Forte aumento dei giovani e degli universitari, passati da 400 a 1.600 in quattro anni. Una tendenza sottolineata da Alberto Barbera nell’incontro di metà festival. “Se questo sia un segnale positivo anche il il cinema di qualità nelle sale – riflette in direttore della Mostra – è da verificare. Ma la moltiplicazione delle possibilità di vedere i film anche sulle piattaforme e sul pc accresce le prospettive future. Noi facciamo capire ai giovani quanto sia importante l’esperienza della sala”.

Per quanto riguarda le polemiche sulle piattaforme, le considera superate dal grande balzo in avanti del sistema. “L’anno prossimo entreranno in scena altri grandi player come Apple, Warner e Comcast. In pochi mesi cambierà lo scenario ed è inutile perdere tempo con discussioni che saranno preistoria. Del resto queste società investono miliardi nei contenuti, è un’opportunità per tutti”. 

Sul caso Martel-Polanski, ridimensiona. “Certo, non l’ho vissuto bene, ma è in parte frutto di un equivoco. Lucrecia si è lanciata in un discorso sofisticato e pieno di distinguo, cosa che non si può fare in una conferenza stampa. Lei stessa ha sentito l’esigenza di puntualizzare dopo le notizie uscite sui media, senza che le chiedessi io una rettifica. Poi è stata a vedere J’accuse insieme alla stampa. La visione del film ha cancellato tutte le polemiche”. 

Le quote rosa. “Continuerò a giudicare i film in base alla qualità e non secondo il genere dei registi”, taglia corto Barbera. E aggiunge: “Si dovrebbero vedere i film senza credits: a Venezia non facciamo blind tasting, ma cerchiamo di essere il più oggettivi possibile. Non faremmo un buon servizio alle donne a mettere i film in concorso in base al loro sesso, ma sono convinto che ci saranno sempre più registe, e si arriverà a riempire il gap che oggi esiste: però i cambiamenti non si fanno da un giorno all’altro, né da un anno all’altro”. Soddisfatto nel complesso di questa annata, specie della forte presenza di star. La concentrazione di talent nel weekend: ”E’ dovuta a tantissimi fattori, per esempio molti dovevano partire per il festival di Telluride, avessi piena libertà li avrei distribuiti nell’arco degli undici giorni del festival”. E ancora: “Ero preoccupato di non poter tenere il passo con la selezione dello scorso anno, che molti avevano giudicato la migliore del decennio, ma la risposta positiva alla maggior parte dei film mi ha molto sollevato, anche le altre sezioni come Orizzonti vanno benissimo e fanno il tutto esaurito”. Per quanto riguarda il futuro, il direttore che ha collezionato la più lunga presenza al festival, con 11 anni complessivi in due tornate, attende l’anno prossimo, in cui sarà ancora in sella per l’incarico triennale. Poi chi vivrà, vedrà. Poi il direttore confessa che vorrebbe ”un’altra sala come la Perla, ci serve, i documentari di Venezia Classici stanno registrando un successo incredibile”, e sui due titoli, attesi ma assenti a Venezia 76, spiega: ”A Rainy Day in New York di Woody Allen mi interessava, ma la distribuzione italiana ha deciso altrimenti, preferendo evitare le polemiche che la presenza a Venezia avrebbe generato”. E The Irishman che aprirà il New York Film festival il prossimo 27 settembre, “non è ancora pronto, Martin Scorsese sta ancora aggiustando alcune cose al montaggio e rivedendo gli effetti speciali”.

Cr. P.
03 Settembre 2019

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