Bar Giuseppe: parabola sul lavoro

Il film di Giulio Base è interpretato da Ivano Marescotti e Virginia Diop


“San Giuseppe è un nonno più che un padre – dice Base – e molti quadri lo raffigurano in questo modo. Di qui la scintilla. La seconda è stata linguistica. In ebraico ‘Joshua Bar Joseph’ sta per ‘Gesù figlio di Giuseppe’. Da lì è venuta l’idea del bar. E di poter raccontare attraverso questo espediente la storia millenaria dell’uomo che io vorrei essere, e che sono lontano dall’essere. Giuseppe è onesto, lavoratore, silenzioso, comprensivo. E’ il mio eroe. Grazie a Rai Cinema ho trovato la chiave per raccontarlo. Al di là della fede, abbiamo tutti a che fare con questo evento base per la storia della cultura occidentale e non solo. Sono io stesso figlio di migranti – aggiunge – meridionali a Torino, e sebbene in maniera meno luttuosa ho vissuto la condizione di discriminazione, con annunci del tipo ‘non si affitta a meridionali’, o situazioni scolastiche poco edificanti. Certamente è niente rispetto a quello che si sente oggi sui migranti. Ma quello che mi sono chiesto è se questa famiglia di duemila anni fa, patrimonio della storia mondiale, potesse dirci qualcosa anche nel 2019. Al di là delle banche, dello spread, delle tasse che ammorbano i giornali come fossero le cose più importanti del mondo, l’umanità deve prima affrontare i problemi di persone che non sanno dove andare, cosa fare, cosa mangiare, con quale lavoro. Giuseppe e Maria erano migranti ed esiliati. Questa è la mia idea, non sono in grado di offrire situazioni politiche, ma ne dipingo una dimensione umana. E’ un film sul lavoro, soprattutto. Giuseppe è un lavoratore e offre un lavoro, lo fa in silenzio. Non si tratta solo della retribuzione, ma di essere al mondo in maniera operosa. Nella prima versione pensavamo addirittura di non farlo parlare mai, ma poi sarebbe sembrato eccessivo. Nei Vangeli però è così. Giuseppe viene sempre nominato e non dice mai una parola. I posti più visitati al mondo sono mariani, e Gesù è più famoso che mai. E Giuseppe? Lui tace e lavora, e questo è il grande tema e il grande esempio. Il bisogno e la necessità che il padre ritrovi autorevolezza nella nostra società, che non significa autorità, ma qualcosa di diverso. Non tutti, guardando il film, capiscono al volo il paragone evangelico. Io ne sono contento. Voglio che questa storia d’amore funzioni a sé”.

Lo conferma anche il protagonista Marescotti: “Io stesso non avevo capito dove andasse a parare la storia fino che non sono arrivato a metà della sceneggiatura. Coglievo riferimenti a Fassbinder o a Haynes ma non al Vangelo. Personalmente, sono ateo, quindi ho vissuto la storia da un punto di vista laico, ed è ancora attualissima. Non cerco mai messaggi specifici nei film. I messaggi ci sono. Mi piace che Giuseppe parli poco, dirà 50 parole in tutto. E’ il contrario delle fiction moderne dove si parla tantissimo per cercare di spiegare tutto. Anzi, se spieghi troppo, rischi di mettere in secondo piano il resto. Personalmente, poi, vengo dalla gioventù che gridava ‘Nostra patria è il mondo, nostra legge la libertà’. Quindi sono assolutamente dalla parte dei migranti”.

Marescotti è, tra l’altro, alla Festa anche con il cortometraggio Il Muro tra di noi, con Stefano Pesce, in cui pure interpreta un padre, ma molto autoritario. “Mio padre era buono come Giuseppe e anche di più – dice – ma non faceva carezze e non dimostrava particolarmente l’affetto, erano altri tempi, le generazioni cambiano. Io i miei figli li pastrocchiavo in continuazione”. Bikira è interpretata da Virginia Diop: ”La condizione da cui fugge – dice l’attrice – è disumana. Lei è stata adottata dai suoi genitori perché quelli biologici sono stati uccisi dal governo. Molte persone passano momenti terribili oggi, io mi sono avvicinato a lei quando ero sul set. Lì ho cominciato a capire i suoi sentimenti e le sue sensazioni, la sua forza d’animo, nonostante il giudizio dei paesani, e l’amore per Giuseppe che è spirituale e molto più profondo di un qualsiasi amore passionale. Mi ha insegnato moltissimo. Sono cristiana ma non praticante, e sono scura di pelle quindi molti mi chiedono ‘ma da dove vieni?’, mentre io sono italiana. Non dico che non siano domande lecite, ma stanno a indicare che ancora oggi le differenze risaltano più delle affinità”.

Andrea Guglielmino
18 Ottobre 2019

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