Jojo Rabbit: un fiaba nera contro il nazismo

Il 37° Torino FF si apre con Jojo Rabbit di Taika Waititi una favola nera in toni pop su un bambino austriaco, membro convinto della Hitler Jugend


TORINO – Apertura insolita per il 37° Torino FF con Jojo Rabbit di Taika Waititi, regista neozelandese già al festival nel 2014 con Vita da vampiro, ma divenuto celebre in seguito per aver diretto il film Marvel Thor: Ragnarok nel 2017. Qui, il cineasta, anche attore comico, si cimenta con un tema drammatico come il nazismo, già portato in commedia tante volte, da Lubitsch a Chaplin, da Benigni a Tarantino. Lo fa sulla scorta del romanzo Caging Skies di Christine Leunens (in Italia si intitola Come semi d’autunno e lo pubblica Meridiano Zero), per costruire una favola nera in toni brillanti e pop su un bambino austriaco, membro convinto della Hitler Jugend. Il giovane Jojo Betzler (detto “Rabbit” da quando non ha avuto il coraggio di uccidere un coniglietto davanti ai compagni facendo la figura del vigliacco) è simpatico e gentile ma talmente indottrinato dal regime da avere come amico immaginario Adolf Hitler in persona (ruolo che il regista si ritaglia per sé), che gli dà consigli e ammonimenti e sostituisce un po’ la figura paterna assente perché al fronte. Il piccolo vive infatti da solo con una mamma tenera e buffa (Scarlett Johansson) dopo che sua sorella è morta. Ma un giorno scopre che in un’intercapedine del muro si nasconde una ragazzina ebrea. Il nemico visto da vicino a poco a poco si rivela molto attraente modificando completamente la visione di Jojo che immaginava gli ebrei metà demoni e metà animali con tanto di coda e corna.

Satira del nazionalsocialismo che alterna elementi caricaturali – il rituale del saluto Heil Hitler – e momenti di autentica commozione, Jojo Rabbit sembra rivolgersi soprattutto ai più piccoli, che scopriranno gli orrori della persecuzione degli ebrei e anche del trattamento riservato dalla Gestapo agli oppositori interni al regime che pagarono care le proprie idee. Nel cast anche Sam Rockwell nei panni di un capitano nazista caduto in disgrazia che addestra i ragazzini alla guerra.

Già presentato a Toronto, Jojo Rabbit uscirà il 16 a gennaio 2020 con la Walt Disney Italia. Ad accompagnarlo a Torino il produttore Carthew Neal e il giovane protagonista Roman Griffin Davis, ragazzino alla sua prima prova ma dalle idee molto chiare che si è trovato a vivere il set come “una gita scolastica” insieme ad attori importanti. “Mia mamma – racconta Roman – mi ha sempre parlato della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto da quando ero piccolino. Però non sapevo nulla della gioventù hitleriana e del lavaggio del cervello che subivano i giovani”. Il neo attore riflette sull’importanza del film per far conoscere ai suoi coetanei questo pezzo di storia d’Europa. “Quando a scuola ci hanno fatto vedere La vita è bella di Benigni nessuno conosceva i lager, tranne un mio compagno che aveva letto Il bambino con il pigiama a righe“. E racconta che quando i suoi compagni hanno visto Jojo Rabbit in poco meno di due ore hanno assimilato tutto quello che c’era da sapere sulle malefatte del nazismo. “Il messaggio del film – suggerisce Roman – è che ognuno deve guardare la vita con i propri occhi, insegna con umorismo ai bambini cos’è la seconda guerra mondiale”.

Fondamentale per produrre Jojo Rabbit è stato il successo di Tor: Ragnarok. “La sceneggiatura, Taika l’aveva scritta nel 2011 ma ha avuto bisogno di fare cinque film per maturare abbastanza e diventare credibile per realizzarla”, spiega il produttore. E per Roman, che ha scelto di essere vegetariano per rispettare l’ambiente, il film ha qualcosa da insegnare anche agli adulti: “Non devono dimenticare la lezione della storia, bisogna ricordare come le dittature, non solo il nazismo, abbiano sfruttato e manipolato i bambini. Le nuove generazioni vengono ignorate dagli adulti che decidono in modo egoistico sul futuro dei giovani. I bambini sono terreno fertile per la propaganda, l’odio, il pregiudizio e l’antisemitismo. Ma la responsabilità anche qui è degli adulti. Ho parlato con un uomo che oggi ha 96 anni e che da bambino, membro della Hitler Jugend, aveva denunciato la sua mamma. Quando seppe che era stata uccisa non finiva più di piangere, ma i suoi capi gli hanno intimato di smettere e da allora non ha mai più versato una sola lacrima”.

Cristiana Paternò
23 Novembre 2019

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