Anna, Tilda e Cate. Quando il cinema è pura gioia

Un'apertura carica di significati per un'edizione unica nella storia del festival. E' quella decretata dalla madrina Anna Foglietta in una Sala Grande con distanziamento e mascherine


VENEZIA – Un’apertura fuori dal rituale, carica di significati, per un’edizione unica nella storia del festival. E’ quella decretata dalla madrina Anna Foglietta in una Sala Grande piena a metà, con distanziamento e mascherine, ma con la volontà di far ripartire l’industria e il sogno. Una celebrazione del cinema con sette direttori di grandi festival, tra cui Carlo Chatrian e Thierry Frémaux, uniti attorno ad Alberto Barbera. E poi con le videolettere di tanti personaggi internazionali, tra cui Jane Campion e William Friedkin, Paolo Sorrentino e Alejandro Gonzalez Inarritu. Quindi con la commozione composta ma palpabile della Leonessa alla carriera Tilda Swinton – dotata di mascherina veneziana dorata e intarsiata – con il suo grido di battaglia: “Cinema cinema cinema! Wakanda for ever”, per ricordare la triste scomparsa di Chadwick Boseman. E con una chiusa teatrale: “cinema, nient’altro che amore”. Mentre la presidente della giuria, l’australiana Cate Blanchett, ha gridato al miracolo per questa edizione faticosamente costruita a partire dai primi spiragli post lockdown da un Barbera più che mai determinato.

Finalmente le sale cinematografiche riaprono e torna il primo grande festival internazionale, sia pure con un’edizione in sicurezza e quasi a porte chiuse, quindi senza pubblico attorno al red carpet, con qualche inquietudine ma un grande rispetto delle norme da parte di tutti. “Negli ultimi mesi, isolati nelle nostre bolle – ha detto Blanchett – abbiamo retto grazie a fiumi infiniti di storie e immagini senza mai però provare le emozioni della condivisione al buio della sala con estranei. Non so voi, ma nel mio salotto non capitano mai grandi eventi a parte il mio cane che mangia le sneakers di mia figlia. Il cinema invece è un evento, creativo, spettacolare, quando vedi i blockbuster, o di grande connessione con il cinema del passato e ponte il futuro quando guardi il cinema d’autore come accade nei festival dove tra vecchi maestri e talenti emergenti si forgiano nuove generazioni di spettatori. Questa sera è un nuovo inizio”.

In apertura di serata sul palco della Sala Grande la Roma Sinfonietta diretta da Andrea Morricone ha suonato il tema di Deborah mentre sullo schermo passavano le immagini di C’era una volta in America di Sergio Leone, una standing ovation ha salutato il compositore da poco scomparso. In platea il ministro per i Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini, la famiglia Morricone, le giurie, il neo presidente della Biennale Roberto Cicutto.

Anna Foglietta, impegnata in un discorso emozionato e pieno di enfasi, ha voluto anche ricordare gli invisibili del mondo dello spettacolo e applaudito gli operatori sanitari e i familiari delle vittime del COVID. Poi la laudatio affidata alla regista britannica Joanna Hogg ha introdotto la straordinaria figura di Tilda Swinton, musa di Jarmusch e Guadagnino, insignita di un meritato premio alla carriera. “Il cinema è, semplicemente, il mio luogo felice – ha detto lei – la mia vera madrepatria, l’albero genealogico del mio cuore. I precedenti Leoni d’oro alla carriera sono i nomi dei miei maestri, gli anziani della mia tribù. Vedere un film, a Venezia, è pura gioia. Vorrei ringraziare il festival di cinema più venerabile e maestoso della terra, per aver alzato la sua bandiera quest’anno, e grazie per il Leone con le ali, il miglior dispositivo di protezione personale per l’anima”.

Quindi luci spente e via col primo film, Lacci di Daniele Luchetti. A 11 anni da Baaria di Tornatore, un film italiano torna ad aprire la kermesse, anche in contemporanea in 100 sale sul territorio nazionale. E anche questo è un gesto simbolico.  

Cristiana Paternò
02 Settembre 2020

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