Nuovo Cinema Paralitico: il poeta e le periferie

Nuovo Cinema Paralitico nasce da una conversazione tra Davide Ferrario e il poeta Franco Arminio: 100 microepisodi della durata massima di 2 minuti in giro per l'Italia periferica


La definizione di Nuovo Cinema Paralitico nasce da una conversazione tra Davide Ferrario e il poeta Franco Arminio. “Ci siamo incontrati al Festival della Letteratura di Mantova – racconta il regista di Guardami e Tutti giù per terra – e mentre gli parlavo del mio nuovo lavoro Just Noise, girato a Malta con Harvey Keitel e Malcolm McDowell, un film d’azione, lui mi ha detto: che palle il film d’azione, bisogna fare un film dove non succede niente”.

Ed ecco allora la sfida di una macchina da presa paralizzata, fissa su 100 microepisodi della durata massima di 2 minuti in cui spesso è il poeta e ‘paesologo’, autore de L’infinito senza farci caso, a entrare in campo con le sue poesie “regalate” ai passanti. Ma spesso non succede assolutamente nulla.

Nuovo Cinema Paralitico, che nel titolo fa ovviamente anche il verso a Tornatore, è fuori concorso al 38° TFF nella sezione dedicata alla Film Commission Torino Piemonte che coproduce attraverso il Piemonte Doc Film Fund insieme alla Rossofuoco di Ferrario e a Rai Cinema. Il collage di cortometraggi nasce come progetto multimediale che si può fruire sia come serie web (era online a marzo), sia in televisione come tanti piccoli “intervalli” sia, infine, come un film unico, di 90 minuti circa, come è accaduto al TFF.

Protagonisti, “come tanti mattoncini del Lego, i luoghi periferici e i piccoli comuni d’Italia, dove ci siamo mossi come chi va a caccia, aspettando che accadesse qualcosa. Occorre prendersi tempo – aggiunge Ferrario – è una cura omeopatica per il cinema e per l’osservatore, noi proviamo a dare al tempo il suo significato”.

Tra le scene c’è la partita di calcio vista dalla parte del portiere e del guardalinee, cioè con l’azione fuori campo; ma anche una Castelvolturno inedita “che sembra una Beirut bombardata” su cui risuona il monito del poeta: “Il mondo si sta suicidando, i ricchi hanno messo la corda, i poveri il collo”.

“E’ il cinema di chi sta all’ultimo banco – prosegue Ferrario – eravamo guidati dalla serendipity per cui le cose accadono quando devono accadere. Nell’idea di base non c’è niente di intellettuale, ma al contrario qualcosa che possono vedere tutti, io e Franco siamo entrambi due cialtroni, non ci prendiamo sul serio fino in fondo”.

E non manca una riflessione sul cinema contemporaneo: “Siamo cresciuti nel Novecento, quando il cinema era in mano nostra, le persone andavano in una sala, pagavano il biglietto e assistevano a una storia di due ore e mezzo, magari sbuffando ma accettandola. Adesso, con la tecnologia, la narrazione è in mano al pubblico e questo lo puoi magari rifiutare o accettarlo e adattarti, elaborandolo creativamente”.

Sottotesto del tutto è una ricerca di divinità laica e umana, con l’idea che Dio sia il bene che facciamo, un Dio nascosto nelle piccole cose. Come dice Arminio: “Dio non è morto, ci ha solo licenziato. La poesia serve per farci riassumere, la poesia è il nostro sindacato”. 

Cristiana Paternò
22 Novembre 2020

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