‘Titane’, Julia Ducournau erede di Cronenberg

‘Titane’, Julia Ducournau erede di Cronenberg


CANNES – Il silenzio, uno spillone per capelli, del liquido nero.

Alexia – o Adrien – è una bambina che, a causa di un incidente di macchina, subisce una delicata chirurgia per la collocazione di una placca, che le lascia una palese cicatrice appena dietro l’orecchio destro. Così, subito, Julia Ducournau, regista di Titane (Junior – cortometraggio è stato presentato al Festival di Cannes 2011; Raw – Una cruda verità – opera prima è stato presentato cinque anni a seguire alla Semaine de la Critique francese, dove ha ricevuto il Premio FIPRESCI), in Concorso al 74mo Festival di Cannes, dichiara la propria specifica visione estetica: primissimo piano e dettagli dell’operazione chirurgica, grossi punti metallici a vista dietro l’apparato uditivo della piccola, lasciano, sin dalle prime sequenze, la sensazione di star assistendo alla nascita dell’erede di un maestro come David Cronenberg, impressione che Ducournau riesce a portare fermamente avanti per tutto il film. “Ero consapevole che fosse un film che avrebbe potuto ‘dividere’: è importante creare dibattito, se il cinema è statico, dà risposte, è una forma espressiva morta”, dichiara l’autrice. 

Cresciuta, Alexia (Agathe Rousselle) si esibisce come modella-immagine presso esposizioni di motor show: continua a scegliere la via del silenzio – caratteristica che accompagna tutto Titane, film di poche parole e di molta emozione, molta violenza, molta metafora – ma parla con il corpo, esemplare la scena in cui, spogliatasi dal suo giubbino con ritratto sul retro un leone, resta in reggiseno e mutandine dorate, e calze retate, e danza sopra una Cadillac come stesse mettendo in atto un amplesso con la macchina. “E’ un film sulla sopravvivenza, nato con l’idea dell’amore al centro. Si scopre che tutto è possibile con l’accettazione. La mia intenzione era che il gender fosse irrilevante, Alexia si trasforma perché le appartiene; credo nella fluidità del gender, all’inizio – nella scena del ballo sulla macchina, appunto – vive lo stereotipo, il rendere oggetto il corpo, che io poi ho provato a destrutturare, cercando di mantenere sempre un sentimento perenne di grande tenerezza ”, spiega la regista. 

Poco dopo l’introduzione dell’infanzia e la sequenza “donne e motori”, Alexia sfodera per la prima volta l’accessorio per capelli, di cui fa un uso improprio, violento a più livelli, verso il mondo esterno e gli altri individui, e verso se stessa: comincia da queste sequenze anche la scelta fotografica (Ruben Impens) di Julia Ducournau, che, simbolicamente, predilige “la notte”, quell’oscurità atmosferica che ne riflette una umana, il cui trionfo visivo viene mostrato nel crescendo di un liquido nerissimo, dapprima immaginabile come sangue mestruale, ma presto specchio di un mostro interiore, che musicalmente risuona tuonante sulle parole e note di Nessuno mi può giudicare, come un grido al mondo, un lucido imperativo di consapevolezza e profondo disagio. Qualcosa di profondamente proprio, da cui però Alexia cerca di fuggire… praticamente, una scappatoia che la fa incontrare con Vincent (Vincent Lindon), pompiere “orfano” del proprio bambino, scomparso una decina d’anni addietro, informazione di cui la donna s’è appropriata leggendo un annuncio in aeroporto, quando fermata. S’impossessa così di quell’identità, lo fa non solo nominalmente ma anche imponendo al proprio corpo una mortificazione fisica palese, mentre il liquido nero, oltre che scorrere esterno, soprattutto ingombra il ventre, sempre più pronunciato, che manifesta adesso anche aggressivi pruriti, tutto nel nome dell’amore in fondo, perché adesso Alexia è Adrien, così si chiama il figlio che Vincent è certo di aver reincontrato adulto in questa creatura, con cui dapprima persiste un difficile silenzio, ma che l’uomo ama così perdutamente da assecondare. 

“L’idea era che la violenza non fosse gratuita. Per carattere, se penso una cosa la metto in atto solo se ha senso, così succede con il corpo, che prova sensazioni e dolori: il personaggio di Alexia doveva essere un tramite di questo verso il pubblico; devo sempre connettere i miei personaggi a qualcosa di concreto, che sia fisico o psicologico”, continua Julia Ducournau. 

Vincent, nel ruolo del padre, è segnato nell’animo e nel corpo, assume medicinali/sostanze tramite iniezioni quotidiane che gli lasciano palesi lividi sulle natiche: non raramente cade in stato di semi incoscienza, ed è proprio in uno di questi momenti che Adrien/Alexia pronuncia per la prima volta: “papà”

“E’ stata un’esperienza di elevato livello attoriale e umano: il personaggio doveva avere cura, supportare. Julia ha definito tutto, in maniera incredibilmente forte. La storia è un grande tributo alle donne e sono fan di questo ruolo che mi ha fatto mettere in gioco anche con il corpo: non l’ho sentito come un rischio, ma come un’opportunità; io sono un perfezionista e mi sono preparato in ogni dettaglio, e quando non mi sentivo soddisfatto ripetevo, procedendo un passo alla volta. È stata una sensazione di tempesta e fascinazione”, per Vincent Lindon, un’icona del cinema francese.  

“Il mio è stato un ruolo molto fisico, un aspetto su cui Julia ha molto puntato, e ho cercato di sviluppare questo aspetto per stabilire la ‘comunicazione’, dove anche la violenza è una forma per comunicare. Julia ha costruito il personaggio e mi ha fatto un doppio dono: Vincent e il livello di recitazione con cui ho potuto misurarmi”, dice la protagonista femminile, Agathe Rousselle. 

Quella di Titane è un’ascesa di quotidianità e mostruosità fisica e interiore che lacera Adrien/Alexia, fino alla battuta chiave di Lindon: “Non avere paura di chi sei, sei mio figlio”. 

L’epilogo, infine, è di una straziante dolcezza: Alexia (ormai Vincent ne ha scoperto l’identità, ma nulla gli importa più dell’amore paterno) cerca conforto raggomitolandosi sul suo ventre – mentre disteso a letto – in una breve sequenza che per qualche istante lascia un dubbio erotico, fino al tripudio finale, cronenberghiamo, tra vomito nero e parto lacerante, tra buio e vita, quella stessa che Vincent prende in mano letteralmente, seppur – anche qui – sia distopica, in un atto di trasformazione degenerativa dell’essere umano materno, però capace di partorire futuro.  

Distribuito nelle sale cinematografiche francesi da Diaphana Distribution dal 14 luglio 2021. 

Nicole Bianchi
14 Luglio 2021

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