Fuorinorma: festival e simposio per risvegliare l’industria

Il festival-simposio si tiene dal 4 al 9 dicembre


Si tiene da sabato 4 a giovedì 9 dicembre presso SCENA (ex Filmstudio), spazio nel cuore di Roma nel quartiere di Trastevere. Il festival-simposio organizzato dall’associazione “Fuorinorma, la via neosperimentale del cinema italiano”, il cui presidente è Adriano Aprà.

La kermesse è giunta alla V edizione. L’evento è realizzato con il contributo di MiC, CNA e Fondazione Cinema per Roma, e il sostegno di Regione Lazio. Per sei giorni, lo spazio in via degli Orti d’Alibert 1 si trasformerà in una vetrina per il cinema indipendente offrendo un’occasione viva di confronto tra autori, critici e spettatori sullo stato attuale del cinema italiano.

L’edizione 2021 del festival-simposio dell’Associazione culturale “Fuorinorma” ripropone in presenza, oltre alle opere che erano state trasmesse nel 2020 in streaming, una selezione ragionata di film poco visti. Autori, ospiti illustri del panorama culturale italiano e spettatori saranno presenti per condividere le proprie opinioni sui film visti il giorno precedente e per ragionare insieme sui temi più ampi che riguardano il cinema italiano indipendente.

Partecipano illustri personaggi come Gianluca Arcopinto, Marco Bellocchio, Paolo Benvenuti, Maria Grazia Calandrone, Silvia Calderoni, Maria Luisa Celani, Antonietta De Lillo, Marta Donzelli, Virginia Eleuteri Serpieri, Agostino Ferrente, Giancarlo Grande, Pietro Montani, Gianfranco Pannone, Gregorio Paonessa, Cristina Piccino, Emanuela Piovano, Luca Ricciardi, Adele Tulli, Alessandra Vanzi, Mina Welby.

Tra i film in programma Palazzo di giustizia di Chiara Bellosi, che racconta quella che potrebbe essere una comune giornata in un tribunale italiano, Vanitas vanitatum, et omnia vanitas di Francesca Fini, sul concetto di ‘memento mori’ nella storia dell’arte, Per Lucio di Pietro Marcello, ritratto di Lucio Dalla. Il programma completo è scaricabile qui.

Alla presentazione  intervengono Adriano Aprà, presidente dell’associazione, Giovanna Pugliese, responsabile Ufficio Cinema – ABC della Regione Lazio, e Francesca Fini, socia dell’associazione e autrice.

“SCENA parte dal nucleo del Filmstudio e ci tiene alla formazione dei ragazzi attraverso la collaborazione con le scuole Pasolini e Volontè – dice Pugliese –  E’ importante che questo spazio nato a giugno già abbia preso avvio con festival ed eventi. E’ un momento importante proprio perché ci stiamo mettendo di nuovo in discussione nel rapporto tra sale e piattaforme. Questo festival in particolare propone un cinema molto diverso, che ha difficoltà a uscire nelle sale e ad essere calcolato. Vogliamo essere invece un punto centrale per le opere di sperimentazione, i documentari, e definire una via sperimentale anche nel simposio. Siamo tutti attenzionati alle nuove tecnologie, che ben vengano se messe in un contesto di innovazione e intelligenza. Non vogliamo che tutti si ritrovino solo a casa davanti al televisore. La formazione viene dagli incontri, con gli autori e gli addetti ai lavori. Non bisogna essere scettici nei confronti delle novità purché non costituiscano barriere per i giovani che sperimentano e le nuove opere”.

“Fuorinorma – dice Aprà – nasce dalla constatazione che il miglior cinema italiano non è quello prodotto dalle industrie, e questo è un fenomeno nuovo nella storia del cinema italiano, che ben conosco, dal neorealismo agli anni sessanta, periodi floridi in cui la creatività era dentro l’industria, cosa che oggi è svanita. Si producono in Italia 200 film di finzione all’anno e il 95% di questi film, per essere ottimisti, non è mediocre ma pessimo. Si salva qualche rarità che spesso non è esposta. Non è un film di cui si parla. Si producono 100 documentari la cui media non è molto alta ma nel caso del doc, che ha regole più libere, le cose migliorano. Oggi però la distinzione tra fiction e documentario tende a svanire, e sempre di più svanirà in futuro. Il doc è sempre meno cinema del reale. L’animazione viene chiamata ‘cartone animato’, non sapendo nemmeno che ‘cartone’ non significa cartone ma viene da ‘cartoon’, che in inglese significa ‘fumetto’. Lo sperimentalismo una volta era confinato underground e oggi invece viene fuori. Non è più ‘under’ ma ‘over’. L’industria è in agonia e sta morendo. C’è una produzione sproporzionata. Il MiBACT e la Rai finanziano fesserie, i nostri film sono spesso autoprodotti e costano spesso zero euro, alcuni autori sono capaci di farsi i film da soli. I finanziamenti ci sono per queste categorie ma sono elemosine, rispetto a quanto si dà ai film che dovrebbero piacere al pubblico ma che poi nemmeno piacciono, tanto che le sale sono disastrate, e giustamente. L’industria non vuole capire. Col digitale le cose sono cambiate, sia dal punto produttivo che distributivo. E quindi cosa fa. Chi sta morendo agita la coda, e la coda per noi sono i Festival maggiori, i tappeti rossi che contano più dei film che vengono proiettati, la pubblicità invasiva, fatta spendendo altri soldi per attirare un pubblico che non c’è, l’uso del digitale come se fosse la pellicola. La pellicola era costretta a filmare la realtà, tanto costavano i trucchi. Gli autori usano il digitale per il potenziale straordinario che ha di cambiare il mondo del visibile e trasformarlo. L’industria lo usa come se fosse pellicola. Paradossalmente, diventa una schiavitù del realismo, forse per colpa del neorealismo che ormai è una corrente di tanti anni fa. Il cinema che io chiamo fuori norma e neo sperimentale, termine che ormai nemmeno mi piace più, è semplicemente la nuova strada del cinema italiano, che sta anche diventando maggioritaria. E ci sono spettatori attivi che vogliono scoprire qualcosa di nuovo. Non si tratta più solo di un’operazione d’avanguardia. All’estero sanno che esiste un altro cinema italiano, la voce si è diffusa. Se l’industria non sperimenta, non cresce, non cambia e muore. E la nostra ha smesso a metà degli anni Settanta. Se oggi ci fosse in giro un Antonioni non gli darebbero spazio, direbbero che è matto e il pubblico non lo capisce”.    

“Molti elementi – dichiara Fini – sono superati da tempo ma il cinema italiano viene sempre pensato come ambizione di finire in televisione, in qualche parte del nostro cervello. E questo ci avvelena, perché ti devi rivolgere a un pubblico che ha bisogno di un certo tipo di prodotto che si può vedere al bagno o lavando i piatti. Come una soap opera. Io per esempio non lavoro su sceneggiatura ma con uno storyboard, come in una tavola degli elementi, e con zero budget. Solo per il suono mi rivolgo a un sound designer professionista, perché ritengo sia una parte fondamentale del cinema sperimentale, che spesso il cinema italiano ignora”. 

Ang
01 Dicembre 2021

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