Dalla Catalogna a Berlino: storia dell’autrice, tra vita rurale e futuro

Carla Simón torna alla Berlinale nel Concorso principale con 'Alcarràs', co-prodotto anche dall’italiana Kino Produzioni. La regista 35enne di Barcellona è partita dalla sua storia personale per costr


BERLINO – Cinque anni fa ha presentato al Festival, nella sezione Generation Kplus, Summer 1993, conquistando il premio come Migliore Opera prima. In questa 72esima edizione Carla Simón torna alla Berlinale nel Concorso principale con Alcarràs, poetica esplorazione della vita rurale di una famiglia, dove le tradizioni si scontrano con un futuro in evoluzione e le identità collettive sono a rischio, tra adulti pieni di responsabilità e giovani che vivono il presente. 

Il film, prodotto anche dall’italiana Kino Produzioni (di Giovanni Pompili), è il ritratto dei Solé, tre generazioni che hanno sempre trascorso l’estate nella loro piantagione di pesche nel villaggio della Catalogna di Alcarràs. Ma il raccolto di quest’anno potrebbe essere l’ultimo. La famiglia è minacciata di sfratto dal proprietario del terreno. Gli alberi devono essere sostituiti da pannelli solari, e le preoccupazioni economiche portano a delle fratture in famiglia, mentre il destino di ognuno incombe. 

La regista 35enne di Barcellona è partita dalla sua storia personale per costruirne una cinematografica, scegliendo attori non professionisti che parlano in catalano. “Ho scelto questi interpreti per rendere reale questa storia. La mia famiglia coltiva le pesche ad Alcarrás, qualcosa che ha sempre attirato la mia attenzione, un lavoro bello, difficile e poetico al tempo stesso – ha spiegato – Ho sentito il desiderio di raccontare questa storia quando è morto mio nonno. Da quel momento ho iniziato ad apprezzare di più molte cose, l’amore per la terra e gli alberi, e quel modo di essere una famiglia, il mestiere più antico dell’umanità, che però sta scomparendo. Perché è difficile portare avanti certe tradizioni, quel modo di fare agricoltura, mancando un ricambio generazionale”. 

Nel film, scritto da Simón con Arnau Vilaró, mentre il padre Qimet (Jordi Pujol Dolcet) si dà da fare con il figlio più grande Roger (Albert Bosch) a lavorare la terra, chiudendo ostinatamente gli occhi sul futuro immediato, la figlia più giovane Mariona (Xènia Roset) pensa a vivere la sua adolescenza, mentre i piccoli di casa si divertono a giocare felicemente su e giù per la campagna combinando qualche marachella. “Faccio parte di una famiglia molto numerosa e volevo davvero esplorare cinematograficamente quell’idea di vivere con molte persone, provenienti da generazioni diverse, con caratteri diversi, l’energia emotiva che si crea quando c’è una crisi – ha detto sempre Simón – Da qui è nata l’idea di fare un film corale, pieno di bambini che creassero grande realismo anche nella recitazione degli adulti”. 

In Alcarràs, tra i titoli che si giocano il palmarès quest’anno, la regista si sofferma sui singoli personaggi, sui loro volti, sulle loro azioni, ma pone attenzione anche sul paesaggio, così pieno di forza e fragilità. “Volevo che la macchina da presa seguisse i dodici protagonisti, li amasse e accarezzasse senza che lo spettatore potesse percepire dettagli stilistici, ma solo le loro emozioni. Il mio sguardo è legato alla realtà e alla terra perché ho sempre provato interesse per la natura”. 

Questa storia ambientata in Catalogna, ha una potenza universale. “Tutti abbiamo una famiglia con cui relazionarci. Non la scegli tu, ci nasci dentro – ha concluso la regista – Ecco perché i rapporti familiari sono complessi e profondi, così pieni di contraddizioni e incondizionati al tempo stesso. Anche l’agricoltura è qualcosa che riguarda tutti noi, ciò che mangiamo ogni giorno. Pensare a chi ci fornisce cibo e come lo fa è qualcosa che dovremmo fare tutti, considerando anche che l’industria agricola sta prendendo il posto dell’agricoltura tradizionale”.

Giulia Bianconi
16 Febbraio 2022

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