Roberto Faenza tra Mario Capecchi e Alda Merini

Esce il 16 giugno in 100 copie, distribuito da Altre Storie Hill of Vision di Roberto Faenza, basato sull’avventurosa vita di Mario Capecchi, Premio Nobel per la Medicina nel 2007


Esce il 16 giugno in 100 copie, distribuito da Altre Storie Hill of Vision di Roberto Faenza, basato sull’avventurosa vita di Mario Capecchi, genetista Premio Nobel per la Medicina nel 2007 e prodotto tra gli altri da Elda Ferri e Milena Canonero, che cura anche i costumi. Nel cast Lorenzo Ciamei, Sofia D’Elia e Rosa Diletta Rossi.

Seconda guerra mondiale, Alto Adige. Mario ha solo 4 anni quando sua madre viene arrestata dai fascisti. Il piccolo trascorre l’infanzia per strada vivendo di espedienti. Finita la guerra, lui e la madre miracolosamente si ritrovano e ricominciano una nuova vita in America, presso la comunità Quacchera ‘Hill of Vision’. Mario non riesce a inserirsi nel nuovo contesto di normalità, fino a quando non scopre, grazie allo zio scienziato, la passione per la scienza.

“Conta il punto di vista del regista – dice Canonero – Io sono stata coinvolta da Roberto in questa storia emozionante e non si tratta solo di fare dei ‘vestitini’. Ma vale sempre, anche quando non produco. La mia relazione con Roberto dura da tanti anni, non siamo solo amici, amo i progetti suoi e di Elda. C’è la parte visiva ma un soggetto sempre appassionante, per me non conta se il film è grande o piccolo. Potrei fare un film Marvel solo se ci fosse qualcosa che mi interessa specificamente. Mi piace la storia di questo ragazzino, sempre positivo, forse si potrebbe fare un sequel. Lo zio di Capecchi è stato l’inventore della televisione ma la televisione non si poteva vedere a casa, lui l’ha vista molti anni dopo. Quindi non è per amicizia che faccio queste cose, lo faccio perché i loro progetti sono sempre interessanti. Questo bambino ha imparato a leggere e scrivere in inglese in un mese. Non era un semplice monello, ma un personaggio speciale”.

“Capecchi ha visto il film – racconta Faenza – ma non ha detto niente, ha pianto solo per due ore e mezzo. Penso si sia commosso molto per il rapporto con la mamma, che ricorda sempre e considera ‘la sua croce’. In casa ha un baule molto vecchio dove tiene ancora le lettere della mamma, mai aperte. Forse un giorno lo farà. Il momento brutto è invece per lui il ricordo del padre, che considera l’Inferno o il Diavolo, non vuole proprio sentirne parlare, forse addirittura esagerando. Mentre ritrovare la madre, dopo che gli avevano detto che era morta, è stato fondamentale. Tornata dall’America pesava 40 chili, non era in grado di accudirlo. E’ stata messa in comunità per cercare di salvarla. Invece ci ha descritto gli zii come una grande forza. Sono stati poi obiettori di coscienza per la guerra nel Vietnam e non escludo di averli incontrati nel ’68, quando venni imprigionato durante le contestazioni in quello che chiamavamo ‘campo di concentramento’ a Washington, E loro erano lì. Mario mi ha sempre detto che ciò che meritava di essere raccontato era la sua infanzia. Dice che da quando è diventato ricercatore la sua storia diventa meno interessante, che ci sono tanti ricercatori come lui e che vincere il Nobel è stata fortuna. A me interessa che il film sia un insegnamento per i ragazzi di oggi. Io sono un insegnante e mi confronto con ragazzi bravi e intelligenti ma che sono soli, abbandonati dalla società e dai genitori che hanno altro da fare. Dopo l’estate porteremo il film nelle scuole e lo faremo vedere a quanti più ragazzi riusciamo”.

Dice Ferri: “Quello che è successo alla madre di Capecchi è successo a tutte le madri uscite dai campi. Prendono il figlio, lo portano fuori e poi diventano matte, vanno in manicomio. Capecchi dice spesso che la madre era molto bella, e questo nel campo deve esserle costato caro”.

Naturalmente molto del merito va ai giovani attori protagonisti: “De Sica dice che lavorare coi ragazzini era impossibile – commenta ancora il regista – ma io penso che invece dipenda dal ragazzino. Devi trovare quello giusto. Una volta ho dovuto cambiare attore perché un bambino non voleva indossare degli abiti da vagabondo, ma in questo caso invece è stato facilissimo. Gli adulti chiedono sempre, i bambini eseguono e fanno tutto da soli”.

Le riprese, iniziate in Alto Adige, per la seconda parte del film si sarebbero dovute spostare quindi negli Stati Uniti: le location erano già state fissate, ma quando la pandemia fa saltare il set oltreoceano, la Jean Vigo Italia, che produce, ha trovato la Pennsylvania sull’Altopiano del Salto, dove la montagna e la vegetazione ben si prestano al racconto americano. Nella caserma Cesare Battisti di Merano è stata ricreata la scuola americana che Capecchi frequenta negli anni Trenta; sempre al suo interno sono stati ricostruiti un intero villaggio di quaccheri e uno studio medico dell’epoca, ma anche la facciata del palazzo di Stoccolma dove nel 2007 Capecchi riceverà il Nobel.

Circa i luoghi specifica Faenza: “Volevamo girare in America ma nessuno dei luoghi è rimasto come era al tempo. Quindi abbiamo ricostruito tutto in Italia, che costa meno, e nello specifico in Alto Adige, in un altopiano sopra Bolzano, con la competenza della Film Commission locale, che ci ha aiutati a costruire un’America molto credibile. Io in America ci ho lavorato e non è uno scherzo. In Copkiller Harvey Keitel voleva girare con la pistola carica e Nicole Garcia si rifiutava di assecondarlo. Se ci penso mi vengono gli incubi”.

Lorenzo Ciamei, fresco di esame di italiano di terza media commenta: “Mi ha colpito tantissimo il progetto e soprattutto il fatto che io non sapessi nulla di questa storia, mentre credo che tutti dovrebbero conoscerla. Dopo la terza media sono deciso a intraprendere gli studi classici. Roberto ci ha aiutato tantissimo, ma fa rabbrividire pensare che dei ragazzi della nostra età hanno realmente vissuto quello che noi abbiamo solo girato”. D’Elia dice invece: “Dico sempre che non ci credevo quando ho avuto la parte perché è sempre stato un mio sogno interpretare una ragazzina che vive durante la Guerra. Custodisco nel cuore gli insegnamenti di tutti i filmmaker. Io sono fragile, mentre il mio personaggio è forte, ma è proprio questo che ci fa tirare fuori dei lati che pensiamo di non avere dentro ma in realtà ci sono. Capire cosa vuole il regista è la cosa fondamentale”.

Questo il pensiero di Rosa Diletta Rossi: “La libertà sul set è stata impagabile. Sia Roberto che Milena lavorano in maniera incredibile sui personaggi. Ricordo la ricerca di un rossetto specificamente di colore rosso geranio, che era un colore che andava di moda in quegli anni. Interpreto una donna bella, presente, ma dentro sfinita. L’attenzione a questi dettagli non fa che facilitare il lavoro”. In chiusura, Milena Canonero annuncia il progetto futuro di Faenza, ispirato ad Alda Merini.

Ne parla più specificamente Elda Ferri: “Ce lo ha proposto la nuova direttrice di Rai Fiction, interessata agli autori del Novecento. Personalmente sapevo poco della Merini, poi mi infastidiva la sua immagine, sempre scosciata, ma conoscevo poco la sua poesia. Mi sono informata e ho scoperto cose meravigliose, ha sfidato la struttura manicomiale, pur essendo in difficoltà ha capito cosa doveva fare per vincere. Ma era anche una figura leggera, ironica, spiritosa, affascinava i giovanotti e il mondo intero. Ci ha seguiti addirittura Arnoldo Mondadori Jr che ha vissuto con lei gli ultimi anni della vita e ci ha fornito tanto materiale. A luglio comincia il set, ora siamo in preproduzione”.

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10 Giugno 2022

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