Pechino vs Hollywood

Erich Schwartzel ha pubblicato Red Carpet: Hollywood, China, and the Global Battle for Cultural Supremacy. Uno studio documentatissimo che analizza il boom dell'industria cinese


“Un tempo tutte le strade portavano a Roma. Oggi portano a Pechino”, afferma lo storico inglese Peter Frankopan. L’eminente docente di Oxford viene citato da Erich Schwartzel nel suo affresco Red Carpet: Hollywood, China, and the Global Battle for Cultural Supremacy (Penguin Press, New York, 2022). Questo collaboratore del ‘Wall Street Journal’ così spiega nell’introduzione: “Nelle settimane successive alle Olimpiadi di Pechino del 2008 un gruppo di dirigenti cinesi si recò a Los Angeles per seguire un corso intensivo di influenza culturale. All’interno dell’aula dell’UCLA coordinata dal professor Robert Rosen, una sfilata di dirigenti di Hollywood tenne una serie di lezioni sull’industria americana dello spettacolo. Gli studenti erano stati scelti dall’amministrazione statale della radio, del cinema e della televisione, ed erano a Los Angeles con un preciso scopo: imparare come l’industria cinematografica americana avesse raggiunto la leadership nella cultura globale, e come la Cina potesse ricreare un analogo risultato a casa propria. Il capo dell’Universal Pictures parlò delle attività dello studio, un conglomerato sorto da una catena di Nickelodeon fondata nel 1912. Altrettanto fece il presidente della Metro-Goldwyn-Mayer, una società fondata prima del cinema sonoro. Un agente della William Morris parlò su come si gestiscono le massime star. Un produttore indipendente spiegò l’arte di mettere insieme le finanze per i film e il capo della Motion Picture Association of America illustrò il lavoro di lobby presso il governo di Washington”.

“Il fatto che la Cina avesse inviato dei funzionari a Los Angeles per imparare dalla più celebre mecca del capitalismo solo pochi decenni prima sarebbe stato impensabile. Quando la Rivoluzione Culturale e il massacro di manifestanti a Piazza Tienanmen avevano lasciato pochi dubbi sull’atteggiamento del governo nei confronti della libertà di espressione. (…) Negli anni che seguirono, la dinamica si sarebbe invertita e Hollywood avrebbe cercato aiuto in Cina. Nel giro di un decennio, l’Universal avrebbe completato un accordo finanziario per 500 milioni di dollari con una società cinese, avrebbe scelto attrici cinesi per i suoi film maggiori e avrebbe costruito un parco a tema vicino alla capitale cinese. La Metro-Goldwyn-Mayer si sarebbe fatta acquisire dai cinesi e avrebbe censurato i film di James Bond onde assicurarsi che i cittadini cinesi non risultassero in pericolo di fronte all’immortale agente segreto inglese. La William Morris avrebbe aperto un ufficio in Cina per aiutare la nuova classe di superstar cinesi a conquistare il pubblico globale. I produttori avrebbero riscritto le sceneggiature scambiando New York con Shanghai se ciò significava ottenere finanziamenti da parte dei miliardari cinesi. L’MPAA e altri funzionari di Washington avrebbero fatto tutto il possibile per mantenere l’accesso al box office cinese, cresciuto a dismisura mentre il mercato americano stagnava”.

In sedici documentatissimi capitoli, Erich Schwartzel esamina, scoppio dopo scoppio, gli eventi dai due fronti dell’attuale conflitto sino-americano. Non trascurando nulla, tantomeno le conseguenze del Covid, il successo globale d’una regista “esule” come Chloé Zhao, né quello dei supereroi orientali, l’ascesa di Netflix e delle corrispettive piattaforme cinesi. 

Lorenzo Codelli
18 Luglio 2022

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