‘Gli ultimi giorni dell’umanità’, così Ghezzi apre il suo archivio

enrico ghezzi (la minuscola è obbligatoria) irrompe sugli schermi della Mostra di Venezia con una summa della sua opera di critico


VENEZIA – C’è molto affetto e grande attenzione cinefila attorno a enrico ghezzi (la minuscola è da sempre il suo marchio di fabbrica) che irrompe sugli schermi della Mostra di Venezia, Fuori Concorso, con una summa della sua opera di critico (professione che oggi sembra decisamente sotto attacco): Gli ultimi giorni dell’umanità, realizzato insieme ad Alessandro Gagliardo e con una protagonista, la figlia Aura Ghezzi, ripresa fin dalla nascita e spesso contro la sua volontà o a sua insaputa, persino dal buco della serratura. Oggi la presenza silenziosa – per la malattia che lo affligge – di enrico è un segno forte e tanti vogliono salutarlo e abbracciarlo, tra questi anche Mario Martone venuto apposta per la premiere del film. 

Gli ultimi giorni dell’umanità è un film di montaggio, se vogliamo un immenso Fuori orario, che sublima un metodo di lavoro e di studio e ci offre la visione dei materiali dell’archivio personale del critico e intellettuale. Tra dimensione intima e dimensione pubblica, ghezzi riprende tutto, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni 2000, a casa o nel suo studio in Rai. A questo materiale, in quattro anni di lavoro e ricerca, si sono aggiunti l’archivio di news e dirette proveniente dall’agenzia di stampa russa Ruptly; l’archivio malastradafilm cresciuto per le mani di Bertino-Castelli-Gagliardo; l’archivio dell’astronauta Jean-Francois Clervoy, girato nel contesto della stazione spaziale internazionale e contenente centinaia di ore di immagini dallo spazio; estratti dall’archivio che raccoglie l’opera del cineasta, fotografo e inventore spagnolo José Val del Omar, testimonianza di una ambiziosa e radicale sperimentazione nel linguaggio dell’immagine in movimento; estratti dai film di Abel Ferrara, Guy Debord, Aleksandr Sokurov, Bela Tarr, Straub&Huillet, Hans-Jürgen Syberberg, Koji Wakamatsu, Sergej Paradžanov, Otar Iosseliani, Shin’ya Tsukamoto, Luciano Emmer, Bernardo Bertolucci, Carmelo Bene, Federico Fellini. Impossibile citare e identificare tutto, ma possiamo dire il film ha potenza ipnotica e capacità di condurre lo spettatore dentro un labirinto di libere associazioni ed esplosioni improvvise, anche letteralmente, con immagini della natura e dell’uomo in tempesta.  

Alessandro Gagliardo, coautore del film prodotto da Matango con Rai Cinema e Luce Cinecittà in associazione con Minerva Pictures Group, Cinedora, Parallelo 41 Produzioni, ha raccontato la genesi del monumentale progetto (200 minuti di durata). “Una notte a Fuoriorario vidi enrico che andava a casa di Umberto Eco e gli faceva i tarocchi. Il giorno dopo gli scrissi una lettera e dieci anni dopo mi sono trovato a lavorare con lui su quelle immagini, un esito di grandissima fiducia e generosità anche da parte di Nennella Bonaiuto che mi ha consegnato la storia della loro famiglia. L’archivio privato è stato il punto di partenza, poi abbiamo continuato a sconfinare e si sono aggiunti altri archivi. Gli archivi hanno bisogno di sguardi amorosi e le immagini di essere liberate”.

Il film naturalmente è un flusso straordinario di immagini e suoni, concepito in totale libertà e con un’idea molto forte di montaggio. In un certo senso è Jean-Marie Straub, che appare in una lunga intervista, a riassumerne il senso filosofico, quando parla della necessità di contemplare le immagini per comprenderle davvero e della nostra incapacità di vedere veramente un film o di leggere veramente un libro. “Si pone l’accento sulla contemplazione, il senso mistico e politico, la pazienza – commenta Gagliardo – quel brano ci dà indicazioni di lettura e ci fa capire il modo di lavorare di enrico. La contemplazione è un bellissimo modo per approcciarsi a questo lavoro. C’è una tensione mai dichiarata verso la libertà e la scoperta. Una volta ci chiesero quale sarà il file rouge di questo film e noi abbiamo risposto la scoperta, l’approcciarsi alle cose con curiosità e disponibilità, ma non abbiamo mai dato indicazioni di metodo o teoria”. 

Enrico Bufalini, direttore Cinema e Documentaristica e direttore dell’Archivio Luce Cinecittà, aggiunge: “Per noi è stato naturale entrare in questo progetto. Tra l’altro, come enrico ghezzi, anche io ho iniziato a lavorare con Angelo Guglielmi, lui in Rai ed io nell’archivio Luce che oggi è facilmente utilizzabile grazie alle intuizioni di Guglielmi. Dopo averlo reso accessibile, adesso siamo nella fase di utilizzo dei contenuti in maniera creativa”.  

Interviene Gabriele Genuino: “Non potevamo non esserci come Rai anche per stringerci attorno a questa comunità. E’ grande la gratitudine verso enrico che ha accompagnato tanti di noi nelle visioni notturne e questo riverbera nel film”.

Molti si interrogano sul titolo, catastrofista o profetico. “Gli ultimi giorni sono già venuti, li stiamo vivendo – dice Gagliardo – L’umanità si è sempre rapportata a un’idea di catastrofe. A casa di Enrico venne fuori questa frase e divenne dopo poco il titolo senza bisogno di discutere le motivazioni. E’ anche un rimando alla straordinaria opera di Karl Kraus nella versione di Luca Ronconi di cui vediamo un lungo estratto”.

Con 700 ore di archivio e altre 300 ore di girato non aveva neppure senso pensare a una selezione. “All’interno di questo eccedere si sono depositate delle cose che hanno iniziato a lottare le une contro le altre – spiega Gagliardo – C’è stato un cercare piuttosto che uno scegliere”. “Quello che abbiamo imparato – si legge nelle note di regia – è che non c’è una durata. Tutto quello che toccano diventa tempo, diventa azione, attesa e speranza, ricorda Demetra all’umano affaccendarsi. Frammento di frammenti. Per compiere un gesto che sfugga la malinconia e la giochi in un movimento addirittura impossibile”.  

Cristiana Paternò
07 Settembre 2022

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