‘Il Cerchio’: quei bambini con lo sguardo verso l’alto

In concorso ad Alice nella Città, nella giornata di apertura della Festa del Cinema di Roma il doc di Sophie Chiarello, indagine sul mondo dei bambini che riflette quello degli adulti


In concorso ad Alice nella Città, nella giornata di apertura della Festa del Cinema di Roma Il cerchio di Sophie Chiarello, regista italo-francese che dopo una collaborazione con Aldo, Giovanni e Giacomo per La banda dei babbi natale e l’esordio fiction Ci vuole un gran fisico si dedica quasi esclusivamente al documentario.

Qui il canovaccio è classico: tirar fuori la spontaneità dei bambini come nel letterario ‘Io speriamo che me la cavo’ oppure ne I bambini sanno di Walter Veltroni. Ma proprio perché i bambini assumono come spugne lo sguardo del mondo circostante, e il mondo circostante varia a seconda del momento storico, vale sempre la pena rinnovarlo.

Chi sono i bambini di oggi? Cosa pensano? Cosa vedono e cosa riescono ad afferrare del mondo degli adulti? Per rispondere, la regista decide di seguire per cinque anni, con la sua telecamera, gli alunni di una classe elementare, abbassando il suo sguardo ad altezza bambino in modo da catturare il loro punto di vista sul mondo.

Che cos’è l’amore? Chi sono i migranti? Quali sono le differenze tra maschi e femmine? Che cosa vuol dire diventare adulti? Ma soprattutto, chi è Babbo Natale?

Queste sono solo alcune delle domande universali su cui i bambini ridono, discutono e si confrontano dalla prima alla quinta elementare, formando di volta in volta un cerchio dove insieme si relazionano, si ascoltano e scoprono qualcosa di nuovo, anche su loro stessi. In poche parole: crescono. Il Cerchio non è un documentario sui bambini, ma con i bambini, un documentario che parla di loro ma anche degli adulti, un ritratto del mondo di oggi in cui si specchia quello di domani, realizzato alla scuola “Istituto Comprensivo Daniele Manin” plesso Di Donato di Roma Municipio 1 Roma con i bambini della sezione B della scuola Daniele Manin di Roma dal 2015 al 2020 e la maestra Francesca Tortora.

Il montaggio è di Andrea Campajola, montaggio del suono di Federico Cabula e Matteo Eusepi, musiche originali di Gabriele Panico, per una produzione Indigo Film con Rai Cinema, in collaboraizone con Sky Documentaries.

“Da piccoli – dice una studentessa  – si è più liberi, si può parlare senza pensare alle conseguenze e mostrare sentimenti ondivaghi, puoi litigare con qualcuno e dopo abbracciarlo. Ci siamo dimenticati delle telecamere, ognuno ha fatto quello che sentiva, e anche se ora è imbarazzante vedere come eravamo da piccoli, oggi ci riconosciamo nel film”.

“La maestra Tortora è la maestra dei miei figli – spiega la regista – l’idea è nata prima che si formasse la classe, volevo mettermi ad altezza bambino per comprendere il loro sguardo, ma abbiamo vissuto il tutto soprattutto come un laboratorio, per non crearci aspettative. Si è rivelato subito necessario eliminare artifici di ogni tipo. Mi sono messa in disparte, in un angolo, cercando di arrivare nei momenti giusti, ad esempio a ricreazione. Pian piano i bambini si sono avvicinati a me ed è diventato tutto molto naturale. Naturalmente non guidavamo, ogni volta che proponevamo un tema, si finiva da un’altra parte. In ogni annata c’è stato però un tema portante. Ogni scoperta, ogni nuovo arrivo, portava un tema. E ciascun tema si è fatto spazio da solo. Ma Babbo Natale era sempre protagonista. Il regolamento prevedeva che fossero sempre i bambini a raccontare, e mai le loro famiglie. Ma era chiaro che sarebbe venuto fuori qualcosa sugli adulti, in quello spazio dove i genitori non ascoltano era chiaro che avrebbero parlato di loro. In qualche modo i bambini ci scimmiottavano, con i cellulari sempre sotto al naso, il lavoro eternamente presente. Fino alla prima media loro non hanno cellulare e il loro sguardo è rivolto all’alto, noi ce lo abbiamo sempre verso il basso. Questa è una grandissima differenza”.

La maestra Tortora conferma: “Tutto spontaneo, nemmeno si accorgevano più di essere filmati. Si lavorava nella quotidianità. Era una modalità a cui loro erano abituati, che è diventato poi effettivamente molto naturale”.

In mezzo alla lavorazione, lo shock del lockdown: “Sono andata in crisi – commenta Chiarello – avevamo immaginato un finale che naturalmente non abbiamo potuto realizzare. Ma mi sono resa disponibile online per chi ha voluto contattarmi, chi più chi meno, ma questo valeva anche per le riprese di persona. E’ stato poi naturale proseguire delle conversazioni. Se fino ad allora mi ero imposta di non uscire dalle mura della scuola, a quel punto mi sono dovuta adattare. Sono andata da loro, sotto le loro finestre. Il ‘Cerchio’ è un simbolo, un sistema mentale. Sarebbe comunque esistito, sedersi in cerchio e ascoltarsi. Io ho avuto solo la fortuna di raccontarlo”.

Il montatore Campajola dichiara: “dovevo fare la parte del cattivo, le ore di girato erano veramente tante. Ma molto è stato definito dal dialogo. Abbiamo passato giornate in cui abbiamo parlato tantissimo e montato poco, ma tutto è servito al risultato finale. La cosa bizzarra è che io conosco tutti i bambini del film, mi sono innamorato di loro, li ho visti crescere, mentre loro non sanno chi sono, mi vedono oggi per la prima volta. In loro vedevo l’immagine di me stesso bambino”.

Andrea Guglielmino
13 Ottobre 2022

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