Scamarcio: “Per il mio Caravaggio mi sono ispirato a Elvis”

L’ombra di Caravaggio diretto da Michele Placido vede Louis Garrel nel ruolo dell’Ombra, personaggio d’invenzione e simbolico; Isabelle Huppert è Costanza Colonna. Il film in sala il 3/11


Si scivola sulla superficie del mare, quello che bagna Napoli, città che nel 1609 ospita e nasconde Michelangelo Merisi, il Caravaggio (Riccardo Scamarcio), nello spaccato della sua esistenza che Michele Placido ha diretto ne L’ombra di Caravaggio, scegliendo l’episodio dell’omicidio di Ranuccio Tommasoni (Brenno Placido) come spunto per disegnare l’arco di vita del pittore milanese nel tempo appena precedente e appena successivo quello della condanna alla decapitazione, spinta per la richiesta di Grazia al Papa. 

L’idea originale del film risiede nell’Ombra (Louis Garrel), servizio segreto ante litteram, servitore dello stato strettamente prossimo al vertice vaticano, chiamato a indagare dapprima sulle opere presunte peccaminose del Caravaggio, colui che per dipingere la Madonna usava come modella “una baldracca di Santa Maria dell’Anima”

Michele Placido racconta che “questo film ha una maturazione antica, nata 53 anni fa da parte mia, sotto la statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori, quando partecipavo ai movimenti studenteschi contro la guerra in Vietnam, nel nome della figura di Che Guevara. Si chiacchierava all’ombra di Bruno e lì immaginammo di scrivere un testo teatrale su Caravaggio che lo incontrava: 5 anni fa, poi, ne parlo con Sandro Petraglia – co-sceneggiatore -, ma ci voleva un’idea, che è stata poi quella dell’Ombra, uomo che per conto del Vaticano doveva capire cosa ci fosse dietro quei dipinti, che potevano rendere la vita difficile a Caravaggio, perché avevano rivoluzionato la pittura. Roma era il palcoscenico ideale per lui, che si butta nella strada, nella vita, e incontra anche il Cardinal del Monte che pensa di farlo uno dei grandi pittori del momento, ma Caravaggio non vuole stare a Palazzo Madama, sente il bisogno naturale di intraprendere la strada del Vangelo, lui che sapeva a memoria la Bibbia. Non mi interessava fare un film sull’estetica caravaggesca ma capire chi fossero quei poveracci e quelle prostituite: mi ha ricordato Pasolini, anche lui dal Nord arrivato a Roma, che dapprima incontra le borgate. Il grande misticismo di Caravaggio era la sua formula vincente e le donne, che l’hanno ispirato, seppur fosse omosessuale, sono state le vere compagne della sua vita”.

Infatti “il maestro amava dipingere il vero”, spiega Costanza Colonna/Sforza (Isabelle Huppert) nell’interrogatorio cui l’Ombra la sottopone; sì, perché Caravaggio – conoscitore peculiare dei testi sacri, anima spirituale altissima – dipingeva i propri soggetti prendendo dalla strada i “tanti Cristi in croce” che incontrava soprattutto nel cortile di Santa Maria in Vallicella a Roma, accolti e accuditi da Filippo Neri, in quel luogo in cui “tutto è Vangelo”. “Costanza conosce Caravaggio da quando è bambino: è un amore materno dapprima, poi estetico, e riconosce anche la portata politica della sua opera e si identifica nella sua volontà di trasgredire. Caravaggio è un personaggio shakespeariano, anche un po’ dostoevskiano: fino a che punto la rivolta può spingerci? È una figura affascinante, evoca fantasia poetiche e estetiche. Ci siamo chiesti cosa farebbe oggi Caravaggio e forse si allontanerebbe dalle sue esigenze artistiche e si schiererebbe con i miserabili del mondo, in questo senso è politico”, commenta Huppert. Riflessione a cui fa seguito Placido, per cui: “forse farebbe il fotografo di guerra, per cogliere il momento”. 

Storicamente – e nel film – non solo la nobile Costanza, ma anche il vivace Cardinale del Monte (Michele Placido) ammira e difende Caravaggio: “sono uomo di Chiesa ma vivo di Arte … Caravaggio ha la mano di Dio”. Questa cronistoria di persone, luoghi e accadimenti conferma un’adesione storica fatta dal film alla verità fattuale, che s’accompagna ad un impianto produttivo – soprattutto estetico: scenografia di Tonino Zera e costumi di Carlo Poggioli – di altissima raffinatezza: L’ombra di Caravaggio è un film mastodontico nella sua messa in scena, che ha scelto un interprete sanguigno come Scamarcio, a restituire l’aspetto più verace che si tramanda del pittore, ma – più in generale – lascia perplessità per il doppiaggio del personaggio interpretato da Garrel, purtroppo, perché il ruolo è chiave e recitato in maniera fluida, ma la voce appoggiata sullo stesso si sposa stridente con il corpo dell’attore, così come più d’una interpretazione arriva poco più che amatoriale o grottesca, questione che s’amplifica nel naturale confronto con termini altissimi come Huppert e Garrel o anche con lo stesso Placido in scena, mentre – d’altra parte – ci sono ruoli a cui sono riservati quadri scenici più ridotti, ma in cui il talento eccelle, come nel carcere in cui Caravaggio incontra l’”eretico domenicano” Giordano Bruno, un Gianfranco Gallo di epidermica e accorata passione interiore, che esprime il senso del dramma con potenza, in un bellissimo “monologo” sulla verità; più piccola anch’essa come parte, ma impeccabile, quella del Battista di Alessandro Haber, un poveraccio chiamato da Merisi a ispirare il San Pietro dipinto. 

“Per capire come fosse lui, abbiamo avuto solo alcuni… fatti storici: il mio punto di contatto con Merisi è l’essere dei provinciali arrivati a Roma mossi da una passione. L’ispirazione vera me l’ha data Michele, che aveva una febbre negli occhi per il progetto, che mi ha trasferito: il mio riferimento era Elvis con la provincia, l’energia, il talento e il rigore. La sua luce arrivava dal mio lato di quando m’infervoro, ma volevo dargli anche un tono fragilissimo, proprio di tutti gli artisti”, così Scamarcio racconta il suo Caravaggio. 

Una riflessione che si può approfondire con una delle mise-en-scène che Placido sceglie di far fare a Caravaggio nel film, quella della Morte della Vergine, “un modo di narrare la sua messa in scena, lui in fondo era in grande regista”, dice l’autore pugliese. “Lui, con questo cadavere di Annuccia (Lolita Sciamma), pieno di fango e poi ripulito, mette in opera le posizioni, la mistica, diventando un regista contemporaneo che dà verità. Su quel nero di fondo delle sue opere, lui col pennello incide le figure dei personaggi e sopra ci mette la sua sensibilità”. 

La vicenda, l’Ombra, Caravaggio, in questo film si tessono come un thriller, infatti – dopo l’indagine – il personaggio di Garrel annuncia a Costanza la Grazia papale accordata, e la stessa Ombra si reca allo sbarco del pittore a Palo Laziale: gli chiede la rinuncia alla sua arte “per salvarti la vita”, lo propone come un accordo insomma, ma la vita per Caravaggio è l’arte e così lui, nel vis-a-vis con l’Ombra, nelle buie stanze più povere del Castello Orsini-Odescalchi, trova il nero dell’anima dell’Ombra e il buio della vita, seppur nel nome dell’Amor Vincit Omnia, titolo di un suo celebre dipinto, ma soprattutto essenza del messaggio della sua esistenza. 

L’Ombra è un prete integralista: io non sono cattolico, ma mi interessava vedere un film su un pittore, il più grande dei classici, e capirne la sua avanguardia. Il mito di Caravaggio è il contrasto tra la bellezza dei suoi quadri e la leggenda intorno alla sua vita di violenza. D’istinto, siamo tutti più o meno reazionari come l’Ombra: l’Ombra è un fascista e il Fascismo nasce da paura e conformismo, così io ho cercato cosa ci fosse di fascista dentro di me e l’ho recitato”, racconta Louis Garrel. 

Il film – costo industriale di 14mln di euro – esce al cinema dal 3 novembre, co-prodotto da Rai Cinema con Federica Luna Vincenti che dichiara: “Cinecittà ci ha aiutato tantissimo per la costruzione dello studio di Caravaggio: 4 mesi di lavoro allo Studio 8”, oltre all’uso di un backlot esterno

L’approfondimento video: guarda qui

Nicole Bianchi
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