Matilda De Angelis, avvocata e pioniera per Netflix

Arriva su Netflix una nuova serie italiana La legge di Lidia Poët. Diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire, prodotta da Groenlandia, ha come protagonista Matilda De Angelis


Arriva su Netflix una nuova serie italiana La legge di Lidia Poët. Diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire, prodotta da Groenlandia, ha come protagonista Matilda De Angelis in un ruolo di pioniera e outsider che molto le si confà:  veste i panni della prima donna entrata nell’Ordine degli Avvocati in Italia, laureata in Giurisprudenza nel 1883. Accanto a lei Eduardo Scarpetta (un giornalista anarchico di cui si innamora e che la affianca nelle sue indagini) e Pier Luigi Pasino (il fratello di Lidia, Enrico, anche lui avvocato).

I sei episodi della serie sono disponibili sulla piattaforma da mercoledì 15 febbraio, ognuno è dedicato a una detection, omicidi che in qualche modo coinvolgono la famiglia o l’entourage di Lidia, ma anche casi che sottolineano il classismo della società di fine Ottocento, come quello dell’operaia politicamente impegnata accusata di aver ucciso la proprietaria di una fabbrica di cioccolato. Lidia indaga con piglio e metodi molto moderni – le impronte digitali o il guanto volumetrico per scoprire se l’interrogato mente – ma si scontra continuamente con un sistema legale reazionario e imbalsamato, dove l’innocente è sempre il primo sospettato e il “gentil sesso” viene sbrigativamente relegato alla sfera privata e domestica senza tanti complimenti.

La sceneggiatura di Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo, tende a sottolineare aspetti radicali e sommersi di quel mondo dove all’apparenza tutti sono chiusi in abiti perfetti, in un’eleganza un po’ posticcia, portandoci dentro fumerie d’oppio e case di tolleranza, mentre del personaggio di Lidia si enfatizza proprio la capacità di trasgredire rispetto ai modelli, anche nella vita sessuale. La giovane donna è infatti divisa tra due uomini molto libertini: il giornalista Jacopo Barberis (Scarpetta) e l’amante che forse potrebbe diventare qualcosa di più (Dario Aita). Sara Lazzaro è la moglie di Enrico Poet, Teresa, tradizionalista e molto borghese, mentre Sinéad Thornhill è la giovanissima Marianna Poët, anche lei istintivamente ribelle e molto vicina a quella zia anticonformista che fuma, beve e all’occorrenza va in bicicletta indossando scandalosi pantaloni. Il tema della preclusione della carriera forense, affrontato nel primo capitolo, scorre poi sottotraccia nei sei episodi, e coinvolge anche il fratello Enrico, dapprima allineato con il sistema poi, via via, più empatico verso la sorella, che – scopriamo – avrebbe dovuto sposare un uomo che non amava per coprire un grosso debito di gioco di suo padre.

Notevole il production value della serie, girata a Torino, in luoghi particolarmente iconici e molto d’epoca della ex capitale subalpina, e con gli splendidi costumi di Stefano Ciammitti, allievo di Piero Tosi, che viene citato e omaggiato, per esempio nell’uso dei cappelli che Matilda De Angelis indossa, tra cui uno disegnato da Tosi per il Ludwig di Visconti. Colori accesi per gli abiti della pasionaria Lidia, mentre un corsetto aderente le riduce la vita a 58 cm e come ornamento usa spille e gioielli a forma di insetto: i costumi saranno esposti al Museo del cinema di Torino dal 15 al 20 febbraio.  

La Torino di fine Ottocento mostrata nella serie è una città di duecentomila abitanti, dove sta per nascere la FIAT, la più importante azienda automobilistica del Paese, nonché il più grande gruppo finanziario e industriale privato italiano del XX secolo. A Torino c’è la più libera comunità ebraica d’Italia, ci sono i circoli anarchici, c’è la camorra napoletana, ci sono i socialisti e c’è Anna Kuliscioff. Poi ci sono i primi ospedali psichiatrici, i fanatici dello spiritismo, Cesare Lombroso con i suoi allievi, buona parte della famiglia reale, le prime tangenti, le prostitute più raffinate d’Italia, i teatri aperti a ogni ora, i concorsi di bellezza e i funerali dei nobili. Insomma, uno scenario ideale per una serie in costume che punta sulla modernità. 

Non resta che raccontare qualcosa della vera Lidia Poët. Valdese, era nata fra i monti della Val Germanasca nel 1855. Fu la prima donna avvocata d’Italia ma venne finalmente iscritta all’albo solo all’età di 65 anni, nel 1920, dopo una vita di battaglie. Si era diplomata maestra a Pinerolo e si iscrisse alla Facoltà di Legge dell’Università di Torino dove si laureò il 17 giugno del 1881, con una dissertazione sulla condizione della donna nella società, in particolare sulle problematiche legate al diritto di voto alle donne, un diritto che sarebbe stato acquisito dall’elettorato femminile solo con la nascita della Repubblica, oltre mezzo secolo dopo. Appena laureata, Lida chiese di essere iscritta nel registro dei praticanti, per poi svolgere i suoi due anni di pratica a Pinerolo, presso lo studio del senatore Cesare Bertea. Durante questo periodo, entrò in contatto con diversi personaggi del mondo della letteratura e della politica, come Edmondo De Amicis, Paolo Boselli e Cesare Cantù. Nel 1883 sostenne e superò tutti gli esami necessari per diventare procuratore legale e richiese l’iscrizione all’Albo degli avvocati e procuratori. La richiesta destò grande sorpresa negli ambienti forensi di Torino e suscitò aspre polemiche perché era il primo caso del genere che si presentava nel Regno d’Italia. La discussione si concluse con l’accoglimento della richiesta il 9 agosto del 1883. Il Procuratore generale del Re presso la Corte d’Appello di Torino, tuttavia, si oppose alla sua iscrizione all’Albo e alla fine, l’11 novembre 1883, la Corte d’Appello accolse la richiesta del Procuratore, appellandosi alla normativa dell’epoca che non attribuiva alle donne la facoltà di esercitare l’avvocatura. Dopo aver tentato inutilmente di far ricorso, Lidia decise di dedicarsi alla difesa dei diritti non solo delle donne, ma anche degli emarginati, dei minori e dei carcerati.

Cristiana Paternò
13 Febbraio 2023

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