Meg Ryan: “Divento regista, grazie a Nora e Jane”

L'attrice americana, ospite di Taormina, ricorda il metodo di Ephron e Campion. "Con un uomo ti senti un oggetto, con una donna condividi lo sguardo"


“Life is short” è il monito che porta tatuato sul braccio sinistro, Meg Ryan. E nel giorno in cui il Festival di Taormina è sconvolto dalla prematura scomparsa di James Gandolfini sembra particolarmente adeguato. “L’ho incontrato spesso anche se non eravamo amici. L’ultima volta è stato pochi giorni fa a New York, ero andata a vedere Carnage a teatro e sono andata a salutarlo in camerino. Era un attore unico e potente, poteva fare qualsiasi cosa”.

Un momento di tristezza per l’ex fidanzata d’America, che qui al Festival è stata applaudita dai giovanissimi per la mitica scena di Harry ti presento Sally, riproposta in una Taoclass, quella in cui simula un plateale orgasmo in un ristorante affollato, di fronte a un attonito Billy Cristal. “Mia figlia di 8 anni è appena stata in quel locale in gita scolastica e in effetti ci sono le mie foto appese alla parete, è una specie di attrazione turistica”, ha raccontato. “Era il mio secondo film, ma fui io a proporre di simulare l’orgasmo, mentre nella sceneggiatura dovevo solo parlare dell’argomento. La signora che mi guarda dall’altro tavolo era la madre del regista Rob Reiner. Quando andammo via il proprietario del locale mi regalò un salame enorme. Chissà perché?”.

Magrissima e nervosa, ma con l’inconfondibile sguardo vivace, l’attrice 51enne ha ormai diradato gli impegni (anche se è in procinto di recitare nella web serie Web Therapy), però sta per esordire come regista. “Non so se porta bene parlarne, ma sto per partire con le riprese di The little black train, storia di un misantropo che sul letto di morte raccoglie attorno a sé alcuni amici per dare un addio piacevole alla vita”. Una storia semplice e piccola, sottolinea la star americana, che non vuole dire nulla di più sulla trama e niente sul cast.

Ruberà qualcosa alle registe con cui ha lavorato da Nora Ephron a Jane Campion?

Ogni regista è diverso e ognuno ti insegna qualcosa. Lawrence Kasdan sapeva ispirarti le  emozioni, Nora trasformava il set in una festa, Jane Campion ti portava a esplorare la tua interiorità e a partecipare all’intero processo creativo. Io penso che darò grande spazio alle immagini, cercherò di creare un clima allegro, di ispirare i miei attori e di trovare la giusta sintonia col dop. E poi sto rivedendo dei classici degli anni ’30 e ’40, tra cui Quarto potere.

Anche lei, come molte attrici hollywoodiane sopra la quarantina, ha visto diradarsi i ruoli?

Da sempre è stato difficile per una donna sopra i 40 lavorare come prima, ma questo dipende soprattutto dai media che ti rendono un oggetto.

Essere famosa le ha pesato?

Da quando vivo a New York non più, è per questo che mi sono allontanata da Los Angeles. Adesso posso passeggiare per strada e al massimo qualcuno mi fa i complimenti. Quando sono andata alla premiere di Hunger Games, dove mio figlio Jack Quaid ha un ruolo mi sono ritrovata catapultata nel caos e mi sono chiesta come fa Jack, che ha solo 19 anni, a reggere questa pressione.

È vero che lei non voleva fare l’attrice?

Sì, volevo diventare giornalista. Mi sentivo più a mio agio a raccontare le cose piuttosto che a viverle sul set.

Crede che il modello di bellezza intesa come eterna giovinezza sia una trappola in cui molte donne cadono influenzate dai media?

Il desiderio di essere belli è una cosa naturale e positiva. Mia figlia anni si mette già lo smalto sulle unghie dei piedi. Certo, avere un solo modello è sempre limitante. Sarebbe come dire che il cibo francese è meglio di quello italiano o viceversa. Io non mi sono mai sentita particolarmente a mio agio col fisico e anche quando ho fatto Against the rope in cui interpretavo una manager di boxe molto sexy e procace non è che la cosa mi facesse  impazzire. Adesso, da un po’ di tempo, la moda mi interessa di più di prima.

Le ha dato fastidio essere definita la fidanzata d’America?

No, anzi, mi piaceva, però ho avuto un periodo in cui non avevo più tempo per vivere e ho voluto cambiare.

Lei è identificata immediatamente con il genere commedia romantica per film come “Insonnia d’amore”, “French Kiss”, “C’è posta per te”. Le dispiace?

Mi piacciono le commedie romantiche perché hanno come protagonisti persone che hanno difetti e imperfezioni, che fanno degli errori e cercano di riparare. Mi viene facile ritrovarmi

In quei personaggi.

Che ricordo ha di Nora Ephron, che è morta l’anno scorso?

Sono stata fortunata a lavorare con lei. Nora osservava la vita delle donne e la differenza tra i sessi, la società e le sue trasformazioni. Era avanti. E noi tutti sentiamo la sua mancanza.

Cosa cambia a lavorare con una regista?

Con un uomo sei l’oggetto del film, mentre una donna racconta la sua storia attraverso di te e la mdp vede quello che vedi tu. In the cut di Jane Campion per me è stata un’esperienza rivoluzionaria, mi sono sentita coautrice del film.

Cristiana Paternò
20 Giugno 2013

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