Patrice Leconte e “La bottega dei suicidi”

Il regista francese alla sua prima prova nel mondo dell'animazione con una commedia grottesca sulla morte. Un'esperienza che replicherà con "Musique"


La bottega dei suicidi è la prima prova di Patrice Leconte nell’ambito dell’animazione. Tratto dal libro di Jean Teulé, il film, come si evince già dal titolo, tratta un tema difficile. In un mondo soffocato dalla crisi – riferimento all’attualità, ma l’ambientazione è atemporale – dove dominano la tristezza e il malumore, togliersi la vita è diventata prassi comune. Il negozio più in voga è quello che vende strumenti per suicidarsi nel modo che ciascuno preferisce: dalla spada per fare harakiri alla corda per impiccarsi, dai revolver per spararsi in testa a una gran quantità di gas e veleni, passando per taniche di benzina con cui darsi fuoco a una bella varietà di ragni e scorpioni velenosissimi. Lo gestisce la famiglia Tuvache, una sorta di versione attualizzata dei celebri Addams, e gli affari vanno a gonfie vele. Finché un giorno, a turbare il loro malsano equilibrio, non arriva il nuovo nato Alan, che incredibilmente non può fare a meno di sfoggiare un raggiante sorriso e di continuare a ripetere che la vita, in fondo, è bella. Passato fuori concorso a Cannes e distribuito dalla sempre coraggiosa Videa di Sandro Parenzo, il film arriva in Italia con un divieto ai minori di 18 anni, per “la facilità e la leggerezza con cui è trattato il tema del suicidio” e il timore che la visione della pellicola possa provocare emulazione, specie tra gli adolescenti, timore aggravato dal media usato, quello del cartoon, che avrebbe facile presa sul pubblico di giovanissimi. Il Ministero comunque concederà il ricorso, per cui è possibile che la situazione, in ultima istanza, possa cambiare. Ma è inevitabile chiedere al regista, che accompagna a Roma l’uscita italiana del film, la propria opinione sull’argomento: 

“Onestamente questa decisione non la capisco. Ho una nipotina di otto anni e facendo il film ho pensato continuamente a lei, volevo far qualcosa che anche lei potesse vedere e apprezzare. Quando ho finito il film gliel’ho fatto vedere e l’ho invitata anche a portare dei compagni di scuola. L’hanno adorato, perché si sono identificati con il giovane e allegro Alan. Come lui anche loro pensano che gli adulti siano fin troppo seri e tristi. Il messaggio che passa, in fondo, è questo: la vita è bella. Non è certo mia intenzione spingere la gente a suicidarsi, tutt’altro: è tutto così surreale e assurdo che l’effetto che ne scaturisce è l’esatto contrario, come quando il padre spinge il figlio a fumare. In Francia non è stato vietato e nemmeno negli altri paesi, come il Belgio. In Spagna uscirà tra poco e poi è stato venduto in Svizzera, in Grecia, in Polonia, Giappone e Russia, da nessun’altra parte c’è stato questo problema. Inoltre, anche il libro è stato un grosso successo di vendite, e ovviamente non è vietato. E poi, scusate, che senso ha vietare un film a due giorni dalla fine del mondo?”

A proposito del libro, come è nata l’idea di farne un cartoon musicale?
Conoscevo il romanzo e mi piaceva, ma quando un produttore mi propose di adattarlo inizialmente risposi di no. Non si poteva fare, a meno di non essere Tim Burton, e io non lo sono. Qualche anno dopo ha bussato alla mia porta un altro produttore, che aveva ricomprato i diritti. E’ stato lui a propormi l’animazione e allora tutto è cambiato: era un’idea geniale. Permetteva il giusto distacco e mi offriva la possibilità di applicare un certo umorismo nero che non avevo mai avuto occasione di esprimere. Potevo fare una cosa al contempo noir e allegra, e poi il musical era un mio sogno da sempre. Per dirgli ‘sì’ ci ho messo circa… 22 secondi!

Nemmeno un dubbio sulle tematiche?
Quando ti butti in un nuovo progetto devi portare con te una bella dose d’incoscienza, a riflettere troppo sulle cose rischi di imprigionarti da solo e non combinare nulla. Preferisco procedere in modo intuitivo, e mi sentivo libero perché avevo la benedizione dell’autore, mi ha detto: “fai come vuoi, è il tuo film”. E quando lo ha visto lo ha apprezzato e ha confermato: “E’ davvero il tuo film. Complimenti. Però ricordati che senza il mio libro non l’avresti potuto realizzare”. Del resto, se cerchi di piacere a tutti, rischi poi di non piacere a nessuno. E’ capitato a molti di avere parenti o amici che si sono suicidati, non voglio certo prenderli in giro, ma solo filtrare il tutto con l’ironia. Magari in Giappone avranno problemi con la scena dell’harakiri.

Però ha modificato il finale…
Quello originale era fin troppo pessimista. Il messaggio che doveva passare è che la vita è bella, anche se non sempre è vero. A volte non è bella, è difficile, ma sempre meglio della morte, finché puoi scegliere. Mi sono divertito a trasformarlo scegliendo la chiave del kitsch, dell’esagerazione.

Nell’apertura la colonna sonora è un pezzo di Charles Trenet, “Il-y-a de la joie”. La felicità è da ricercare nel passato?
Non sono esattamente un nostalgico, ma certo ho il gusto per il retrò. Il film però è pensato per risultare il più atemporale possibile, non volevo essere moderno a tutti i costi, non volevo che si fraintendesse il messaggio. Niente roba del tipo “è la società che ci uccide”, volevo che la storia fosse universale. La canzone è lì semplicemente perché mi piace l’autore e poi adoravo il contrasto tra il titolo, “C’è gioia”, e il film che parla del togliersi la vita. Le altre musiche le ha scritte il mio amico e collaboratore di lunga data Florian Thouret, ispirandosi un po’ anche a Kurt Weill…

Lei ha citato Tim Burton, i suoi protagonisti sembrano anche un po’ la famiglia Addams, ma potremmo legarlo anche a commedie sulla morte come ‘Ladykillers’ o il classico ‘Arsenico e vecchi merletti’…
Beh, penso che quando si parla di certi argomenti, i riferimenti ai classici arrivano in automatico, in meno di un minuto. Posso dirvi che Nightmare before Christmas è uno dei miei film d’animazione preferiti, ma mi piacciono anche Wallace & Gromit della Aardman o Monsters & Co. della Pixar. Certo, siamo lontani da Biancaneve e Bambi, ma forse neanche troppo. Il coro greco in La bottega… lo fa un gruppo di ratti, spesso anche nei film Disney quel ruolo è degli animali, ma i miei sono più perversi. Si pensa alle produzioni Disney come sempre sdolcinate, ma non è così, anche lì ci sono zone d’ombra terrificanti ed elementi da far accapponare la pelle. Riguardo alle commedie sulla morte, beh, mi sembrano ben più frequentabili di certi film hollywoodiani violentissimi che escono oggi, e lo stesso penso si possa dire del mio film.

E’ la sua prima prova con l’animazione e ha scelto un 2D piuttosto tradizionale, nonostante qualche intervento al pc in postproduzione, perché?
Ho sempre amato il cinema d’animazione, anche se non mi considero un esperto. Ho fatto fumetti e corti d’animazione in passato e sono rimasto legato al disegno, volevo che il film mantenesse un look molto ‘grafico’. I computer sono di moda ma rischiano di far perdere il gusto del tratto. Certo, un tempo si disegnava tutto fotogramma per fotogramma, oggi le macchine si utilizzano in maniera diversa, per velocizzare i tempi, ma non vuol dire che basti premere un pulsante per realizzare il cartone. Sapete che oggi, quando la gente mi incontra, mi chiede se io abbia realizzato personalmente i disegni, e quando gli dico di no, restano interdetti: “Ma allora dicono se non hai disegnato, cosa hai fatto esattamente?”. La risposta più intelligente che mi viene in mente è: “Beh, anche nei film che avevo fatto prima, non ero io a recitare”. I pupazzi invece non mi permettevano una gestualità rapida. Il disegno tradizionale mi è parsa subito la scelta più adatta.

L’ambiente ricorda parecchio il 13° arrondissement parigino…
E’ vero, ci siamo ispirati molto. Ma soprattutto volevo un posto dove i palazzi fossero così alti da non lasciar filtrare il sole.

E’ più difficile dirigere gli attori quando si limitano a parlare?
No, è divertente, nella versione originale le voci si registrano prima che esista l’immagine. Come riferimento avevano solo lo schizzo del loro personaggio. Alcuni sono ispirati a gente che esiste davvero, ma non famosissima. Il tizio che si suicida con la crèpe al cianuro, alla fine, è il produttore, anche se lui nega. Tra l’altro, ho trovato ottimo l’adattamento italiano, le voci sono ben scelte, gli interpreti cantano benissimo e il missaggio è equilibrato.

Ma c’è un piccolo errore. Nel mondo del film non si dice mai ‘arrivederci…’, perché si spera che il suicidio del cliente sia andato a buon fine. Eppure, la protagonista saluta uno degli avventori con un ‘arrivederci, alla prossima’…
Ok. Lo ammetto. Non è un problema della traduzione italiana. Era un errore già in francese. Quando ce ne siamo accorti abbiamo pensato: ‘Merde!’, ma era ormai troppo tardi!

Pensa di fare ancora esperienze nel campo dell’animazione?
Certo, con la stessa équipe de La bottega… stiamo scrivendo un’altra storia, che si chiama Musique e immagina come sarebbe svegliarsi in un mondo senza musica. Ci vorrà tempo, ma è questo il bello. L’animazione ti permette nel frattempo di fare molte altre cose. Sono molto legato al mondo delle note, come avrete capito. Il cinema è musica, colore, ritmo, sensibilità, se un produttore mi proponesse di fare un film senza musica direi senz’altro di no.

Andrea Guglielmino
27 Giugno 2013

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