Stefano Bessoni: il mondo visto dalla forca

Dopo Imago Mortis e Krokodyle, il regista si cimenta con una personale rivisitazione de I Canti della forca, raccolta di poesie macabre dello scrittore tedesco Christian Morgenstern


Un illustratore lavora su una sua personale trasposizione dell’opera morgensterniana. Perso nelle sue fantasie scopre che dalla forca il mondo cambia di prospettiva: i Fratelli della forca sono ladri e assassini, ma anche innocenti, sognatori e puri di spirito, legati dal continuo penzolare l’uno di fianco all’altro. Questa è l’ispirazione da cui parte il nuovo progetto di Stefano Bessoni, cortometraggio a tecnica mista, stop-motion e live action, che sarà in libreria il 15 ottobre in dvd, accompagnato da un volume, e si appresterà poi a girare il globo con anteprima ufficiale al Lucca Comics & Games e di seguito apparizioni in importanti festival di cinema fantasy come il Fancine Malaga in Spagna e il Fantaspoa in Brasile. Abbiamo intervistato il regista in esclusiva per saperne di più.

Come in Krokodyle sceglie l’animazione come parziale mezzo d’espressione. Perché?
Solamente per  ragioni artistiche. Credo che l’animazione, e quella in stop-motion in particolare, sia il mezzo migliore per tradurre in cinema il mio mondo disegnato.  Certamente non per ragioni di budget, visto che si tratta di un lavoro molto lungo, laborioso e complesso.

Come nasce il progetto I Canti della forca?
Ho inventato per i personaggi di Morgenstern personalità e fisionomie, e sviluppato una nuova storia originale per poterli unire tutti in un’unica vicenda. Un libero gioco, insomma, con il mirabolante popolo del patibolo creato dallo scrittore tedesco. Ho in mente di estendere il tutto a un lungometraggio, ben più costoso e complesso. Quindi sto utilizzando ora il cortometraggio e il libro per cercare di coinvolgere dei produttori europei nell’operazione. Ho incontrato casualmente I Canti… tanti anni fa in una piccola libreria, uno di quei posti dove puoi acquistare per pochi spiccioli delle vecchie edizioni ormai fuori commercio. Inutile dire che ne rimasi immediatamente affascinato e che decisi di lavorarci sopra, anche se mi resi conto di lì a poco che si trattava di uno scrittore praticamente sconosciuto, almeno in Italia, e che le edizioni delle sue opere erano pochissime ed ormai praticamente introvabili. Questo non poteva che accrescere la mia curiosità e la mia voglia di trarne qualcosa che potesse rendere attraverso il mezzo cinematografico le sensazioni visive che quelle strambe filastrocche, anche un po’ infantili, mi trasmettevano. Era il 1993 o forse il 1994, per anni buttai giù schizzi su strani personaggi, ispirandomi a quegli scritti che ormai avevo letto, riletto ed imparato a conoscere anche attraverso un apparato di scritti critici faticosamente racimolato in giro per biblioteche. Poi nel 1999 decisi di operare una prima incursione cinematografica nell’universo morgensterniano e realizzai un piccolo rudimentale cortometraggio basato su una mia personale selezione dei canti del patibolo, sostenendolo con dei miei scritti aggiunti per fornirgli una semplicissima ed apparente struttura narrativa. Il cortometraggio incontrò il favore di alcuni critici, che mi onorarono della paternità della scoperta e della divulgazione di un autore misconosciuto, ma sollevò le perplessità e lo sconcerto di buona parte del pubblico, sicuramente non propenso al nonsense, soprattutto se di natura macabra. Decisi comunque che prima o poi avrei continuato il lavoro, quindi pur lavorando in questi anni su progetti più commerciali, non ho mai smesso di pensare ai Canti… e di buttare giù schizzi ed appunti. E oggi, a distanza di tanti anni, con la folle complicità del mio editore Lina Vergara Huilcaman, ho deciso di realizzare il libro ed il film , approfittando del fatto che tra pochi mesi, a marzo 2014, saranno esattamente cento anni dalla morte Morgenstern.

Perché l’alternanza con scene live-action?
Perché la realtà, o meglio la finzione della  realtà, permette di far entrare meglio lo spettatore in un mondo immaginario e macabro e sostenere la sospensione dell’incredulità. E poi perché racconto me stesso, il mio lavoro di illustratore, il processo che si realizza nel tradurre la propria fantasia in immagini. E’ una riflessione sul concetto di fantasia e sulle conseguenze del vivere con la testa tra le nuvole, immersa in una dimensione irreale, completamente staccata dalla realtà.

Quanto è costato esattamente il film e cosa significa oggi, lavorare in Italia a basso budget su un film d’animazione?
Il film è costato circa quarantamila euro, anche se parte di questa cifra è stata coperta grazie a quote di compartecipazione delle varie figure professionali coinvolte.

Con che altre fonti di finanziamento si è mosso?

Fonti private. Sono ancora in attesa di una risposta di finanziamento da parte del MiBac. Il film è finito e in procinto di essere distribuito e la commissione deve ancora pronunciarsi per un eventuale appoggio al progetto. Se fossero intervenuti in corso d’opera si sarebbe potuto fare molto di più.

Nel character design qualcuno ha colto echi dei personaggi di Tim Burton. Lo considera una sua influenza? Se no, a cosa si è ispirato?
L’influenza c’è ed è innegabile, anche se si tratta un po’ di un luogo comune, anche fin troppo ovvio e facile.  Oggi basta un personaggio con capoccione e maglietta a righe per dire che sei un po’ Tim Burton. I miei riferimenti e le mie ispirazioni sono altre: Jan Svankmajer, i Brothers Quay, le illustrazioni di Dusan Kallay, le fotografie di Joel Peter Witkin, il cinema di Peter Greenaway.

Ci racconti meglio la storia del libro…  

Il libro racconta le strampalate storie di un gruppo di impiccati che penzolano dalle forche sul Monte del Patibolo. Palmström, un tipo piccoletto dall’animo sensibile, che evita di soffiarsi il naso per non offendere il suo fazzoletto. Korf, il tontolone, che non ha mai capito le teorie di Palmström ma per fedele atto d’amicizia si è impiccato insieme a lui, senza porsi troppi problemi. Pauretto, un vecchietto vestito da marinaretto che vive dentro un armadietto. Il Piccolo impiccato, un bimbo solo e spaurito che penzola dal capestro da tempo immemore, assurto a giudice con il compito di decidere se i nuovi arrivati possano diventare Fratelli della Forca. Il grande Lalula, smodato mangiatore di salumi, che ama vestirsi con i resti di maiali macellati e parla una lingua incomprensibile. Sophie, l’assistente del boia, dolce e ambigua confidente dei Fratelli della Forca. E poi il boia, il Pecoro Lunare, Tulemondo e Mondamicchio, gli otto allegri re, Ralf il corvo…

Come si animano tutti questi personaggi?
Stop-motion, altrimenti detta passo uno, ma l’ingrediente principale la pazienza.

Andrea Guglielmino
23 Settembre 2013

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