Antonio Pennarella


Attore outsider, indipendente, nell’ombra, appartenente, come dire, a un certo mercato. Al di fuori del consumismo televisivo. Eppure, vanitoso. Si definisce così, Antonio Pennarella, scuola napoletana, classe 1960, una ventina di film all’attivo, sposato e padre di Vincenzo, otto mesi. Ha lavorato con Marco Bellocchio nel Sogno della farfalla, con Stefano Incerti nel Verificatore, con Laura Angiulli in Tatuaggi. “Questi registi hanno segnato per me una strada”, afferma. Nel ’97 era presente alla Mostra di Venezia con ben quattro film. Roba da Guinness. Quest’anno, con due, Animali che attraversano la strada di Isabella Sandri e Lontano in fondo agli occhi di Giuseppe Rocca. Insomma, dove si respira aria partenopea, lui c’è.
Pennarella, due film, due personaggi. Che tipi sono?
In Animali che attraversano la strada sono Alì, gestore di un bordello, che dietro questo schermo nasconde lo smercio di stupefacenti. Il suo ruolo è importante perché dal rapporto con una delle prostitute ha avuto una figlia, che poi è la protagonista della storia. Nel film di Rocca invece sono Carmine. E qui siamo negli anni Cinquanta. Abbiamo girato in agosto, col cappotto. Pare che la sofferenza tempri gli attori… Carmine ha un animo complesso, difficile da decifrare. Una bambina s’innamora di lui e lui accetta questa piccola storia. Ma la pedofilia non c’entra niente. Il personaggio l’ho pensato in positivo. Carmine approfitta della bambina non per sesso, ma per amore. La soluzione nell’interpretazione del personaggio è stata quella di non pensare a niente e vivere le emozioni. Ogni volta che giro un film imparo qualcosa. E qui ho capito che è sbagliato arrivare preparati alle scene. Non ho visto il film finito, ma ne mantengo una memoria forte. Sembrerà eccessivo, ma mi sentivo come fossi nella Terra trema di Visconti, le cui sensazioni mi sono state trasmesse dagli intensi racconti di Citto Maselli, che nel film era aiuto-regista.
Ha girato con Rocca e Sandri, due autori diversi tra loro.
Con Isabella Sandri e Beppe Gaudino mi sono trovato benissimo. Per me è stata un’occasione straordinaria, per l’ennesima volta. Sono fortunato a capitare con i migliori e a interpretare ruoli che sembrano cuciti addosso a me, che mi consentono di trasmettere una forte tensione al pubblico. Non mi piacciono le cose artificiali. Quando giro una scena ho sempre paura. Ma dietro la paura, il dubbio, come diceva Agostino, c’è la verità. Da Rocca sono rimasto affascinato per il suo modo di scrivere la sceneggiatura. Si va da un’epoca all’altra, dalla sacra rappresentazione al profano. E i personaggi sono molto articolati.
Da poco è anche papà. Un’esperienza importante?
Parlerei di mio figlio in continuazione. Ho trascorso con Vincenzo queste ultime due settimane. E ho capito tante cose. Fare il padre non significa tanto assumersi delle responsabilità, quanto giocare. Come attore sono abituato al gioco. Lui si sveglia la mattina e ride. È la gioia del futuro. Tutti i bambini sono così. Essendo cresciuto nei vicoli di Napoli, ho vissuto la mia infanzia come fossi nel dopoguerra, tra gli scugnizzi. Ora è tutto diverso. A me piace gustare la vita attraverso gli occhi, lo sguardo. E in mio figlio leggo non solo il sorriso, ma il pensiero. In questo i bambini di oggi sono straordinari. Con loro sarà una nuova èra.
Lei è anche attore di teatro. Considera importante il palcoscenico per la sua attività cinematografica?
Recitare in teatro significa mettersi in gioco. Tirare in ballo la vita, i sentimenti. Io ho scelto il teatro contemporaneo, perché tendo a mettermi in discussione, a cercare le novità. Il palcoscenico mi ha insegnato a fare cinema. Ma sono due cose diverse, procedono su due binari, pur mantenendo lo stesso linguaggio. Il teatro necessita di una grande abilità tecnica, per arrivare al pubblico. Nel cinema, la macchina da presa può entrare nell’attore e ingoiarlo.
Sarà a Venezia?
Naturalmente. Arriverò il 3 settembre. Ma il 4 partirò per Palermo dove comincio le riprese di Attentatuni di Claudio Bonivento, con Veronica Pivetti, Claudio Amendola, Toni Sperandeo e Claudio Morgante. Un film sull’attentato di Capaci, scritto con Andrea Purgatori e Jim Carrington. I nomi dei personaggi sono cambiati. Io mi chiamo Gino La Barbera, ma in realtà sono Gino Guarnera. Non è propriamente un film d’azione. Gli autori si sono soffermati soprattutto sui dialoghi, sulla mafia, su come è stato preparato l’attentato.

Daniela Sanzone
01 Settembre 2000

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