CARLO MONTANARO


Per uno studioso e un ricercatore misurarsi con il cinema italiano muto significa un paziente lavoro d’indagine, di reperibilità, di ricostruzione dell’originale con l’obiettivo ambizioso di “possedere e mostrare il film muto così come venne visto dal pubblico di allora” spiega Carlo Montanaro, curatore della sezione dedicata alla produzione italiana, in programma per la 21a edizione delle Giornate del cinema muto a Sacile (Pordenone), dal 12 al 19 ottobre.
Un lavoro certosino che fa i conti con un paese, il nostro, che meno di tanti altri ha conservato il patrimonio filmico delle origini, circa il 25/30 per cento. Per insipienza dei produttori che all’avvento del sonoro si liberarono delle pellicole mute ritenendole di nessun valore commerciale, o ancora per eventi accidentali come l’incendio degli stabilimenti Cines negli anni ’30.

Montanaro, la ricerca di pellicole vi porta allora in archivi, cineteche, collezioni private di tutto il mondo?
Ricordo che nel 1989, mentre eravamo a Mosca per il cinema russo prerivoluzionario, scovammo un film inedito di Augusto Genina. Il fatto è che il nostro cinema fino alla prima guerra mondiale era uno dei più attivi sul mercato e la casa di produzione Cines disponeva oltre confine di una rete fitta di corrispondenti. Spesso si tratta di recuperare pezzi mancanti di film, copie di qualità superiore o prive di tagli, attingendo ovunque, magari in quei paesi dell’America latina dove i nostri emigranti vedevano i nostri film.

Perché la rassegna da lei curata s’intitola “L’avanguardia italiana ovvero un’avanguardia inconsapevole”?
La nostra avanguardia rispetto al caso tedesco e francese, “nuova oggettività” e “astrattismo”, si manifesta con ritardo, anche se con elementi di originalità, ma in questo confronto non è possibile parlare di “avanguardia storica”. Se invece consideriamo i tentativi d’innovare il linguaggio cinematografico, allora è un’”avanguardia inconsapevole”. La rassegna percorre attraverso i diversi film questo tragitto.

Quanto al cinema futurista?
Il futurismo, nato in Italia, è stata la grande madre di tutta l’arte contemporanea, ha rotto tutte le regole, e ha prodotto in modo diretto o indiretto pochi film che sono andati purtroppo perduti. L’unico testo filmico disponibile resta una frammento largo di Thaïs realizzato nel ’16, da Anton Giulio Bragaglia e Riccardo Cassano, andati perduti Perfido incanto, Il mio cadavere, Dramma nell’Olimpo. Thaïs, proposto con le colorazioni originali, è stato realizzato con la collaborazione di Enrico Prampolini per le ambientazioni scenografiche, ed è un film sperimentale, dalla scarsa coerenza stilistica per la presenza di elementi naturalistici, e tuttavia con importanti intuizioni di segno trasgressivo.

Negli altri film proposti dalla rassegna quali elementi sperimentali sono rintracciabili?
Abbiamo ritrovato in Inghilterra e negli Stati Uniti Le fiabe della nonna (1908) e La storia di Lulù (1910). Nel primo, di autore ignoto, viene sperimentato per la prima volta nella storia del cinema il flash back; nel secondo realizzato nel 1910, il regista Arrigo Frusta inquadra solo le gambe e con l’introduzione progressiva di oggetti (zoccoli, scarpe, sciabole, gioielli) dal significato narrativo, propone quella concettualità così determinante per le arti figurative del ‘900. In Excelsior Luca Comerio prende un balletto e lo fa diventare spettacolo, insomma un protomusical. E ancora in Cabiria di Giovanni Pastrone, già vista altre volte nel Festival, fa il suo debutto il carrello, con ampi movimenti di macchina. Il mistero di Galatea è il film di un artista 60enne, Giulio Aristide Sartorio, che riprende quella pittura decadente, allusiva, tipica della cultura degli anni ’20, e prova a trasportarla un po’ ingenuamente nel film.

La rassegna getta anche uno sguardo sul cinema comico.
La produzione cinematografica italiana parte in ritardo, nel 1905, rispetto a quella francese (Pathe, Gaumont e Melies. Così invece di ricercare attori nostrani, attinge a piene mani al patrimonio francese, in particolare porta in Italia i comici francesi già affermati. Non si dimentichi che lo “slapstick”, il cinema degli inseguimenti è stato inventato proprio dai francesi. Partendo proprio da Leopoldo Fregoli e passando per André Deed (Cretinetti), Marcel Fabre (Robinet), e Ovaro-Kri-Kri, proveremo a verificare l’essenza anche sperimentale dello spettacolo di pura vocazione popolare.

Stefano Stefanutto Rosa
01 Ottobre 2002

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