WALTER FASANO
Come è nato il film?
Ogni lavoro che realizzo come autore nasce dal
semplice desiderio di filmare: osservare e registrare
attraverso la messa a fuoco dell'obiettivo; uno strano
modo di entrare nelle cose tramite un mezzo che
sembrerebbe aumentare il distacco. In fase di ripresa
(due o tre mesi) comincio già a montare i materiali
che raccolgo, sovrapponendo in maniera casuale luoghi
tempi e azioni. Quando la raccolta di materiali è
finita passo al montaggio vero e proprio, un processo
saltuario abbastanza lungo (alcuni mesi, un anno) in
cui riesco a capire cosa veramente mi interessa
mettere insieme. Film Americano, di cui gli
"Appunti" che presento a Pesaro sono una prima fase di
studio sui materiali, è nato durante un soggiorno
di due mesi a Los Angeles, nell'estate del 2000, dove
mi ero recato per il montaggio di un piccolo film di
alcuni amici dell'USC.
Pensi di farne un lungometraggio?
Avendo parecchie ore di materiale interessante vorrei
riuscire a costruire qualcosa che superi in durata i
miei lavori precedenti (che non andavano mai oltre i
venti minuti). Non è un traguardo
particolarmente facile, trattandosi di un progetto non
narrativo basato essenzialmente sulla costruzione di
rapporti emotivi fra immagini musica e suoni: almeno
senza rischiare di annoiare. Un lungometraggio di finzione non
è una cosa che al momento mi interessa, né credo di
esserne capace.
Che idea avevi dell'America e come si è
modificata attraverso la tua esperienza?
Non saprei. L'immagine più vicina che mi viene in
mente, almeno per la California, è quella del gelato
Sundae del McDonald's. Tanto buono mentre lo mangi, un
po' indigesto dopo. Mi è sembrato essenzialmente un
luogo di grandi solitudini. Lavorarci per il cinema è
bello ma un po' alienante. In questo momento l'America
mi fa paura. Ho come la
sensazione che il vero discrimine fra i due millenni
non sia stato l'ingresso nel 2000 ma l'11.9.2001; ho
l'illusione emotiva che i miei materiali dell'estate
del 2000 mantengano una specie di stato virginale
precedente ad un passaggio storico di tragica ed
enorme portata.
Qual è l’osmosi tra il tuo lavoro di regista e quello di
montatore?
E' molto utile, e un po' schizofrenico, trovarsi da
entrambe le parti. Come montatore credo che il fatto
di realizzare miei progetti mi permetta di riuscire
meglio a comprendere i numerosi problemi e delicati
stati d'animo che attraversa il regista nella fase del
montaggio. Come autore ogni film che monto
è un'occasione per apprendere qualcosa sui
film e sul cinema, nonché sulla durezza ed il rigore
che un regista deve cercare di mantenere nei confronti
del proprio lavoro.
Puoi raccontarci qualcosa del nuovo film
di Dario Argento a cui stai lavorando?
Lavorare con Dario Argento è il coronamento di
un sogno: essendo poi cresciuto intriso della visione
dei suoi film mi sento come a casa. Il montaggio del
Cartaio è estremamente impegnativo e gratificante.
Avevo lavorato con sua figlia Asia, nel 1999 avevamo
realizzato un video musicale per i Royalize, un’altra
ottima esperienza.
I tuoi video sono rigorosamente senza dialoghi. Qual è il ruolo della musica?
Assolutamente centrale: il suono è fatto di parole,
rumori della realtà e musica. Collaboro con amorevole
prossimità poetica con una musicista ginevrina di
nome Nathalie Tanner che sa cogliere nelle sue
composizioni il punto esatto di contatto fra musica ed
immagini con insostituibile puntualità.