Caterina Borelli


Forse se non l’unico è uno dei pochi racconti di campagna elettorale italiana il documentario Lilli e il Cavaliere. 10 giorni per battere Berlusconi che la regista Caterina Borelli, da tempo trasferita a New York, ha realizzato e che si vedrà stasera per il Concorso Doc 2004, presente la protagonista Lilli Gruber. La regista ha pedinato durante le ultime 2 settimane di campagna elettorale, dal 2 e al 16 giugno scorso, la giornalista candidata per l’Ulivo al Parlamento europeo e il suo ristretto staff di collaboratori, ricavandone alla fine un documentario ‘senza rete’ di 1 ora, dalle oltre 50 girate.
Non solo la frenetica caccia al voto in giro per piazze, mercati, dibattiti e comizi. Un “porta a porta” obbligato di una candidata oscurata, come rilevò all’epoca l’Osservatorio di Pavia, dalle reti televisive nazionali. E alla fine supererà di quasi 250mila preferenze il premier Silvio Berlusconi.
Soprattutto il documentario racconta il dietro le quinte. L’arrabbiatura in una città dell’Umbria perché lei capolista al Centro non figura tra i cosiddetti ‘santini’; i commenti alla liberazione degli ostaggi italiani a pochi giorni dal voto; il giorno prima dell’appello tv l’incontro con Piero Fassino per gli ultimi consigli; le battute sul concorrente Berlusconi; il litigio tra il responsabile di partito e la sua assistente; i suggerimenti tutti politici del marito, nonostante la sua premessa di essere solo “un supporto sentimentale”. Lilli e il Cavaliere è alla ricerca di una distribuzione italiana, quella internazionale è affidata dalla Stefilm.

 

Dove e quando si vedrà il suo documentario?
Per ora solo La7 lo sta valutando,con RaiTre ho avuto dei contatti informali a fine agosto, ma il clima generale sembra non favorevole. Intanto è stato venduto in Norvegia, spero in Belgio e Austria. All’acquisto sono inoltre interessate la BBC e Arte.

Come ha conosciuto la Gruber?
Sono stata la sua producer per la copertura da New York dell’11 settembre. E’ una professionista che lavora sodo, ha un’etica e soprattutto talento innato per la comunicazione, la capacità di essere vera. Non c’è differenza tra vita privata e quella pubblica, è sempre se stessa.

Un documentario realizzato per un pubblico italiano.
Perché veda che cosa accade a un cittadino, a un politico non di professione che entra nella competizione elettorale, senza un apparato di partito alle spalle. Tanto più che i nostri elettori non credono più ai professionisti della politica, che si sono in gran parte squalificati. Serve un ponte per riallacciare la relazione tra i cittadini e la politica.

Non ha forse corso il rischio di un ritratto buonista?
E’ necessario mantenere il confine tra te e il soggetto, altrimenti il pericolo di scivolare nella propaganda è in agguato. Allora ho conservato quelle parti in cui lei perde la pazienza, è di malumore e sgradevole. Non volevo solo l’angelo Gruber avrei fatto un torto ad entrambe. E poi chi crede più agli angeli?

Che cosa ha sacrificato del tanto materiale girato?
Un filo narrativo che ero sicura non avrebbe retto. Non ho sacrificato immagini della Gruber privata, ho rinunciato a molte conversazioni dirette tra me e lei, in cui le parlo mentre la riprendo. Perché fin dal secondo giorno delle riprese ho scelto di sparire e con me la telecamera, e la consapevolezza di tutti i soggetti di essere registrati è venuta presto meno. Considero un pregio del documentario questa mia sparizione.

Perché non è entrata più a fondo nel retroscena televisivo dell’appello finale agli elettori?
Ho dovuto semplificare una questione che già era complicata per me. C’è questa girandola dei giornalisti che avrebbero posto le domande alla Gruber nel programma Rai. Filmicamente era difficile restituire la situazione di complessa manovra politica.

E negli Usa la campagna elettorale come viene filmata?
Esiste una tradizione di ‘direct cinema’, una sorta di cinema verità che ha pedinato le sfide elettorali di John Fitzgerald Kennedy, come Primary diretto nel1960 da Pennebaker e Drew o The war room sempre di Pennebaker documento sulla macchina elettorale del candidato Clinton, a cominciare dallo stratega James Carville, che è anche tra gli interpreti di K Street di Soderbergh, visto a Torino nella sezione ‘Americana’. C’è poi Travelling with George di Alexandra Pelosi, diario di bordo della sfida di Bush per le primarie, ma la regista pare arrendersi divorata dal suo soggetto, Bush che risulta simpatico e spiritoso. Di recente la BBC ha prodotto un documentario sulla reazione degli elettori americani di fronte all’idolo Arnold Schwarzenegger in corsa per il governo della California.

Stefano Stefanutto Rosa
14 Novembre 2004

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