Lea Massari


L. MassaroMonicelli il cinico, Antonioni lo snob ma anche Volontè l’intenso e Sautet l’eccezionale. Lea Massari parla con i giornalisti, dopo ventitrè anni di silenzio, passati fuori dal set. Lo fa in occasione di una retrospettiva organizzata dall’Associazione Made in Italy con la complicità del Comune di Roma e dalla Cineteca Nazionale presso la Sala Trevi dal 3 all’8 maggio. Oltre ai film, scelti proprio dalla bellissima attrice romana, è prevista una tavola rotonda, il 3 maggio alle 18, cui prenderanno parte, alcuni colleghi e amici come Erika Blanc, Massimo Ghini, Lina Sastri e Francesco Rosi. Lea, al secolo Anna Maria, che dichiara l’età senza infingimenti, si racconta liberamente, tra pubblico e privato, privilegiando nelle sue scelte l’istinto e la sua indole “fuori dal coro”.

 

Quanti ruoli ha rifiutato in questi anni di silenzio?

Tanti, ma senza ripensamenti. Ho detto no anche a Ferzan Ozpetek, che mi voleva per Cuore sacro e mi avrebbe lasciato la scelta tra l’una o l’altra delle due zie. All’inizio si è arrabbiato, poi mi ha portato un regalo dal Brasile, cinque dischi di quella musica popolare che io amo tantissimo.

 

L. Massari - L'AvventuraCom’è iniziata la sua carriera?

A 22 anni avevo perso il ragazzo che amavo, Leo, in un incidente stradale. Piero Gherardi, il grande scenografo e costumista di Fellini, mi chiamò a lavorare con lui per darmi una mano dato che avevo la passione per l’antiquariato. Sul set di Proibito, mi vide Monicelli e mi convinse a fare Agnese, la ragazza sarda che non riuscivano a trovare nonostante i tanti provini. Mio padre quasi mi uccise, io giurai di recitare un volta sola, ma poi ho continuato. Monicelli ha sempre detto di avermi trovato fuori da un liceo, ma era una sciocchezza… quell’uomo è un vero cinico.

 

Come andò con Antonioni per “L’avventura”?

Con lui non c’era nessuna comunicazione. Per giunta per quel film non sono mai stata pagata… Anche gli operai protestavano perché da sei giorni non ricevevano la paga e Michelangelo disse all’organizzatore: “Ma lo sanno che questo è un film di Antonioni?”. 

 

L. Massari Lei è celebre per il suo impegno animalista e la scelta di non mangiare carne. Come iniziò?

Mio padre era un cacciatore e anch’io, da giovane, sparavo. Sparavo anche bene. Mentre giravo Le soldatesse di Zurlini in Jugoslavia, mi venne a trovare mio marito e andammo a caccia con due amici. Insomma, loro avevano preso tre lepri, io niente… a fine giornata ero così frustrata che sentii un fruscio e sparai al volo senza pensare. Era un cucciolo di lepre e mi è morto in braccio: conservo ancora la giacca macchiata di sangue. Da allora ho giurato di smettere con la caccia. Ma gli animali li avevo sempre amati, fin da bambina, quando andavo a portare da bere ai cani da caccia di mio padre.

 

Tra i suoi film quale ama particolarmente?

Più di tutto Soffio al cuore di Louis Malle, anche se mi costò tante polemiche per il tema dell’incesto tra madre e figlio: addirittura non potevo più rientrare in Italia. Girammo quella scena per ultima e fu una grande preoccupazione per tutta la durata delle riprese. L’ultimo giorno Malle mi disse: “fai quello che vuoi tu, se viene bene la teniamo, sennò si fa come dico io”. Agii d’istinto, caricando il fatto che la donna era ubriaca, e la scena rimase così com’è.

 

L. Massaro - Una vita difficileTra gli attori chi ricorda con stima maggiore?

Gian Maria Volontè era veramente straordinario: ricordo i suoi silenzi, il suo potere d’introspezione. Sono grata a Francesco Rosi di avermelo fatto conoscere con Cristo si è fermato a Eboli. Lui è il più grande che io abbia mai incontrato. Un altro grande è Alan Bates, con lui ho lavorato nel film di John Frankenheimer Questo impossibile oggetto.

 

E Alberto Sordi?

Recitare con lui era come ballare il valzer. Ma Una vita difficile fu un’esperienza stranissima e pesante, con Sonego che ogni mattina ci cambiava le scene riscrivendo il copione. In più ho fatto tutto il film con un busto di ferro perché mi era venuto il colpo della strega sul lungomare di Viareggio…

 

Nessun rimpianto?

Solo uno: 8 1/2 di Fellini. Avrei fatto il salto mortale per avere il ruolo che fu di Anouk Aimée, ma quando feci il provino con Mastroianni, Piero Gherardi mi conciò in modo assurdo con una parrucca nera da Sofonisba e due tette così sotto il vestito. Voleva che Federico scegliessere Anouk e così fu. Ma a posteriori non saprei dargli torto!

 

 

Cristiana Paternò
02 Maggio 2005

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