Goran Paskaljevic: L’Europa, nuovo miraggio dei migranti


“Sono razzisti con noi gli italiani, guarda come ci trattano, ci hanno messo con i negri”. Sta in questa battuta la chiave di Honeymoons, il nuovo film di Goran Paskaljevic accolto molto bene, stamane, dal pubblico delle Giornate degli Autori, che gli ha tributato un lungo applauso. In scena i percorsi paralleli di due coppie, una serba e una albanese, (interpretate da Nebojsa Milovanovic, Jelena Trkulia, Jozef Shiroka, Mirela Naska) in viaggio verso l’agognata Europa tra mille difficoltà e ostacoli. In primo piano il discorso sull’emigrazione, sui vari nazionalismi e sui pregiudizi che colpiscono non solo chi dovrebbe ospitare ma anche chi parte in cerca di fortuna. Un po’ come Francesca, del rumeno Bobby Paunescu (in Orizzonti), che con questo film ha diverse similitudini. Politico ma anche molto umano, Honeymoons cerca la distensione e l’avvicinamento non solo a livello artistico, ma anche produttivo: è infatti la prima pellicola mai co-prodotta da Serbia e Albania.

Le premeva raccontare di nuovo una storia di emigrazione. Perché?
Nel 1995 avevo già fatto un film sull’emigrazione che si chiamava L’America degli altri dunque questo fenomeno, che è di oggi ma anche di ieri, mi ha sempre interessato. Oggi l’Europa è diventata quello che era l’America cinquanta anni fa: un miraggio per le popolazioni più povere o costrette a vivere in zone di guerra. Ci sono masse di persone che spingono per entrare nei paesi più ricchi, i quali però non possono accoglierle tutte. In Europa vogliono risolvere il problema con la forza e l’ostilità, ma gli italiani non devono dimenticare che anche loro sono partiti in cerca di fortuna in America o in altri paesi europei cento anni fa.

Il suo quindi è anche un tentativo di lanciare un messaggio di “distensione”.
Non ci si può proteggere dagli altri con la forza. In Honeymoons mostro la complessità delle cose. A partire non sono solo persone che vogliono rubare o fare i criminali, ma anche i giovani con dei sogni. Io vivo in Francia e ho anche la doppia nazionalità: questo paese ha usato i beni del Maghreb per duecento anni, è arrivata l’ora di pagare il debito. Io però con il mio film non posso risolvere nulla, ma solo sollevare domande e far parlare di questi temi.

Nella ex Jugoslavia i nazionalismi sono ancora un grande problema?
Assolutamente sì, e temo che alcuni partiti nutrano il nazionalismo per garantirsi il potere. E spesso riescono nel loro intento, perché gran parte della popolazione è ignorante e fortemente condizionata dai media, proprio come da voi in Italia. Il problema è che non ci conosciamo anche se viviamo uno accanto all’altro. L’unica soluzione è conoscersi meglio e potremmo farlo anche attraverso il cinema. Quanti film italiani escono in Serbia e viceversa? Molto pochi.

In una scena importante del film la polizia doganale italiana non fa una bella figura.
Ma la polizia italiana è proprio così. Ho assistito a una scena esattamente uguale a quella che ho poi ricreato nel film, dove il poliziotto bloccava pretestuosamente alla frontiera delle persone che avevano tutto perfettamente in regola. In Italia ho visitato anche diversi Centri di Permanenza Temporanea, e vi assicuro che se mostrassi quelli in un film sarebbe molto peggio. Qualcuno mi ha detto che questo film è contro l’Italia e che quindi non ha senso presentarlo proprio a Venezia. Io rispondo che è contro l’Italia del governo di Berlusconi e le sue idee, e non è proprio la stessa cosa, altrimenti sarebbe come dire che chi era contro Milosevic era contro la Serbia. E proprio per questo per me era importantissimo mostrare il film in questo paese, anche se Muller non ha voluto metterlo in concorso perché evidentemente preferisce le pellicole più commerciali.

05 Settembre 2009

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