Jasmine Trinca: “Da Moretti a spara spara”

Al Festival di Bari l'anteprima di The Gunman, l'action movie con Sean Penn in cui l'attrice italiana si lancia in sparatorie e inseguimenti. "Ma dietro c'è una storia politica"


BARI – Tutto è iniziato con Miele. Valeria Golino ha mostrato il suo film da regista all’amico Sean Penn e lui si è messo in testa che quella ragazza italiana, dolce ma determinata, diversa dalle bellone di Hollywood, fosse l’attrice giusta per il ruolo di una giovane dottoressa, volontaria nel Congo della guerra civile. Una donna contesa tra due sex symbol, Sean Penn e Javier Bardem, coinvolti in un attentato mortale al ministro delle miniere. Stiamo parlando di Jasmine Trinca, protagonista a sorpresa di un action movie in piena regola, The Gunman, che il Bif&st ha proposto in anteprima e che uscirà nelle sale italiane il 7 maggio con 01. Ma anche per l’attore americano è una prima volta. E se ha accettato di pompare i suoi muscoli a dismisura e di misurarsi con proiettili, esplosivi e machete nel film di Pierre Morel ispirato al romanzo Posizione di tiro di Jean-Patrick Manchette, è stato per il lato romantico della vicenda.

Ed eccolo nel ruolo del mercenario pronto a tutto, del killer professionista, che fa mea culpa con la sua ragazza per averla dovuta abbandonare e che decide di spifferare il complotto, in cui è coinvolta una multinazionale, all’Interpol. Mostra la sua fragilità, insomma, il suo lato umano. In un’intervista a Ciak ha spiegato: “Sono nato nel 1960 e appartengo a una generazione fortunata, quando eravamo adolescenti abbiamo potuto godere dell’ultima grande stagione del cinema americano. Il mio film preferito è Lo spaventapasseri di Jerry Schatzberg con Gene Hackman e Al Pacino. I giovani attori di adesso, invece, citerebbero un film che ha per protagonista una cosa con ventotto braccia che esce da un’automobile. Di quei film si possono apprezzare la fattura, gli effetti speciali, i trucchi, ma non è il tipo di cinema a cui voglio prendere parte”. E poi anche il suo nuovo film da regista, The Last Face, in cui recita anche la sua compagna Charlize Theron e in cui c’è di nuovo un ruolo per Bardem, è ambientato in Sudafrica. Ed è proprio il suo impegno politico ad aver conquistato Jasmine.

Trentatré anni, diciannove film, i più recenti sono Maraviglioso Boccaccio dei Taviani e Nessuno si salva da solo di Castellitto, l’attrice scoperta da Nanni Moretti per La stanza del figlio, appena diciottenne, “rischia” di inaugurare una carriera tutta diversa e qualcuno già la vede Bond Girl. Nonostante il sorriso non proprio perfetto. “I produttori americani volevano farmi raddrizzare i denti, ma Sean si è battuto per risparmiarmi quella che mi sembrava una violenza. Quando mi sono infilata la protesi che mi avevano proposto, sembravo Alberto Sordi nel ruolo del dentone”. Insomma, per ora si prenderà una pausa dall’action tornando al cinema d’autore. Poi si vedrà.

È stata un’esperienza difficile? Si è trovata catapultata in un altro mondo?
Per le attrici italiane è sempre difficile accedere a un panorama internazionale, forse per le francesi è più facile. Ma io sono stata fortunata, non sono passata per la trafila ortodossa dei mille provini, a parte un self tape che ho mandato alla produzione. Sean Penn mi voleva dopo aver visto Miele. Ci siamo incontrati a Barcellona con Pierre Morel e solo dopo ho fatto i provini per gli americani.

Come si è sentita a lavorare con due divi come Sean Penn e Javier Bardem?
È stato incredibile. Trovo che ci sia qualcosa di strano e divertente in tutta questa vicenda. Ma l’importante è prendere le cose nella loro dimensione. Da una parte c’è l’incontro con queste persone che sono veramente speciali, al di là del loro nome, il che mi ha messo un po’ in soggezione, dall’altra non c’è occasione migliore per godersi questo lavoro. Tanto che a tratti io mi distraevo dalla recitazione e mi mettevo ad ammirarli come una spettatrice.

In questo film si spara molto e ha raccontato che le sono rimasti addosso i segni delle scene d’azione, qualche livido e qualche bruciatura.
Lo dico anche per creare la leggenda… No, in realtà come per tutti questi film americani c’è una ragazza che prende la luce al posto tuo col direttore della fotografia, poi ce n’è un’altra che è fatta come te e deve fare la stunt, però alla fine io penso che stare nel film vuol dire anche metterci il proprio corpo, quindi ho partecipato direttamente alle scene d’azione che sono molto faticose. E qualche cicatrice sul corpo e sull’anima è rimasta.

Non ha fatto nessuna preparazione atletica?
No, campo di rendita perché quando ero giovane ero una ragazzona sportiva. Le capriole e i capitomboli li ho fatti tutti io e mi sono anche fatta molto male, ma ero felice come una bambina. Del resto il personaggio di Annie è quello di una donna borghese, con i mocassini, che improvvisamente si trova a scappare inseguita dai killer.

Era contesa tra uno Sean Penn in gran forma, un po’ alla Stallone, e uno Javier Bardem più dimesso del solito.
Non mi sono neanche resa conto che Sean fosse così tanto in forma, non avendolo conosciuto prima. Lavorare con lui è stato speciale, è un attore e un autore impegnativo. Oltre alla scrittura e all’essere costretto a dirigere anche me, a darmi consigli, si allenava dalla mattina alla sera per dare credibilità a un personaggio di eroe, che però lui rende un antieroe come è lui. E’ un vero maschio che allo stesso tempo porta su di sé questa fragilità che è la cosa che mi fa impazzire di lui e che gli ha permesso di fare dei ruoli straordinari. Comunque in teoria nella storia amo Sean, ma Bardem mi faceva tanti numeri, scherzava sempre, e così io gli sorridevo, anche se Annie non doveva sorridergli.

Al di là del piacere e del divertimento di fare per la prima volta un film d’azione, c’è il tema politico del film, lo sfruttamento dei paesi del terzo mondo da parte delle multinazionali. È stato importante per lei?

Lo è stato per me ma ancora prima, come si può immaginare, lo è stato per Sean Penn. L’idea di fare un film d’azione per lui non poteva limitarsi semplicemente al genere, anche se nel film fa delle cose notevoli dal punto di vista fisico. Dietro all’azione qui c’è un’istanza politica, tutta la questione dell’Africa. L’idea di cooperazione che è propria del mio personaggio era un motivo in più per essere nella storia.

Il film rappresenta i due approcci dell’Occidente all’Africa: le ONG e la solidarietà oppure lo sfruttamento bieco delle multinazionali.
Esattamente. L’impegno di Sean per Haiti è noto, è una persona molto sensibile. Tanto è vero che inizialmente la storia era firmata da due sceneggiatori e poi lui è diventato co-sceneggiatore e produttore del film. È un attore molto autore. Il regista era Pierre Morel, ma Sean è stato lì tutto il tempo per dare una direzione alle cose.

Che impressione le ha fatto la macchina cinema hollywoodiana vista dall’interno?
È un sistema cosi diverso dal nostro, tutto è grande, tutto è spettacolare, anche se non sempre questa grandezza è necessaria. Noi facciamo lo stesso cinema ma su una scala ridotta. E poi siamo in un momento molto difficile in Italia e i mezzi sono quello che sono. Io preferisco il cinema artigianale, pur essendomi molto divertita in quella dimensione.

The Gunman l’ha portata in Africa, Un giorno devi andare di Giorgio Diritti in Brasile.
Aver fatto l’attrice mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con persone e luoghi remoti o molto distanti dalla nostra vita. È una vera forma di conoscenza. Tra l’altro nel film di Diritti l’incontro è stato pieno di sostanza perché abbiamo girato con gli indios dei villaggi dell’Amazzonia. Qui invece la storia di svolge in Congo ma il set era nei dintorni di Capetown.

C’è qualcosa di lei nel personaggio?
Mi sono capitati film molto diversi e personaggi femminili che raccontavano sempre qualcosa di inedito e personale. Qui invece siamo in un blockbuster e il ruolo femminile è un cliché, è romantico, idealizzato. Mentre un tempo avrei detto che c’è sempre qualcosa di me in tutti i personaggi, adesso sono i film che, piano piano, entrano in me. In Amazzonia mi ha preso una cosa mistica, ho fatto un film francese su una pianista che sveniva sempre e dopo svenivo anch’io e con Miele non trovavo più la mia identità precedente.

Cosa ha detto Nanni quando ha saputo che faceva questo film?
Neanche mi ha chiamato. Però secondo me sotto sotto lui è contento. Quantomeno del fatto che quindici anni fa ha visto in quella specie di anatroccolo una che poi avrebbe fatto spara spara.
 

Cristiana Paternò
26 Marzo 2015

Bari 2015

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Cinema & Fiction, tv italiana in cerca di innovazione

Al Bif&st il convegno "Cinema & Fiction: convergenze parallele?", un momento di confronto tra protagonisti del settore per capire quale possa e debba essere il ruolo della fiction in Italia, mentre dagli Stati Uniti arrivano i successi di serie tv che vantano attori da Oscar e ascolti strabilianti.
"Il problema dell'Italia è che non ha un'industria culturale degna", dice il direttore di 8 e 1/2 Gianni Canova, mentre Maurizio Sciarra si rivolge alla committenza e dice "La tv è ferma a 20 anni fa, non innova da decenni", mentre sta per arrivare in Italia il ciclone Netflix. Tra gli altri relatori Silvia Napolitano, Matilde Bernabei, Daniele Cesarano, Veridiana Bixio e Luca Milano per Rai Fiction

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Bif&st: 2016 con Mastroianni e gli attori

73mila spettatori. Ovvero 2.500 in più rispetto allo scorso anno. La conferenza stampa di bilancio del Bif&st numero 6, guidato come sempre da Felice Laudadio, è la cronaca di un trionfo, ma anche un molto simbolico "passaggio di consegne" all'amministrazione locale futura, a cui il direttore e il presidente Ettore Scola chiedono in coro di confermare la fiducia in un progetto culturale che richiama un pubblico numerosissimo e giovane. Con il governatore Nichi Vendola in scadenza di mandato, resta un margine di incertezza per il futuro, che Laudadio cerca di scongiurare annunciando già non solo le date - dal 2 al 9 aprile 2016 - ma persino il programma del settimo Bif&st, che sarà dedicato a Marcello Mastroianni nel 20° anniversario della sua scomparsa, con una retrospettiva in 50 titoli. Al Teatro Petruzzelli la cerimonia di premiazione presentata da Stefania Rocca. Miglior regista Francesco Munzi, migliori attori Elio Germano, Alba Rohrwacher, Anna Foglietta e Carlo Buccirosso

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Nanni Moretti, superstar a Bari, legge il “Caro Diario”

"Manteniamo il mistero". Basterebbe l'ultima battuta della masterclass (riferita alla genesi di Habemus Papam), per riassumere l'incontro di Nanni Moretti con il pubblico del Bif&st, di cui è stato l'ultimo, attesissimo ospite. Dopo la proiezione di Caro diario, il regista ha letto il diario di lavorazione che scrisse per quel film del 1993: in un Teatro Petruzzelli affollatissimo, il regista ha rievocato quei giorni, per poi rispondere alle domande (o piuttosto ai timidi input) del moderatore Jean Gili. Come prevedibile, neanche una parola è stata dedicata a Mia madre, il nuovo film del regista che sarà in sala dal 16 aprile (e poi probabilmente a Cannes) in cui recita accanto a Margherita Buy e John Turturro. Ripercorrendo la sua carriera, ha detto: "Con gli anni sono diventato più esigente, ora il momento della scrittura è quello più difficile, mentre quello più faticoso e angosciante resta quello delle riprese"


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