Zanussi: “Il mio film alla scoperta del male”

A Pesaro con il suo ultimo film Foreign Body, in co-produzione con l'Italia (nel cast anche l'attore Riccardo Leonelli), ha voluto spiegare il motivo che l'ha portato ad affrontare temi molto delicati


PESARO – Nel 1970, a Pesaro, Krzysztof Zanussi portó il suo primo film, La struttura di cristallo. Era giovane, 30 anni appena compiuti, ma il suo cinema di contestazione, che parlava allora di inquietudine giovanile e disarmonia con il presente, lo avrebbe presto consacrato come uno dei più importanti rinnovatori del cinema polacco. Oggi, a distanza di 45 anni, Zanussi torna alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema con il suo ultimo film, Foreign Body. Una storia d’amore complicata tra un giovane italiano (l’attore Riccardo Leonelli) e una donna polacca decisa a prendere i voti, che tocca ancora una volta temi cari al regista: il rapporto della Polonia con il passato comunista, il consumismo moderno, il cattolicesimo.

Torna a Pesaro dopo tanti anni: che ricordi ha della sua prima volta al festival?
Ricordo la soddisfazione per il film, che fu ben accolto, ma anche una grande umiliazione. Era il 1970, al festival non ero venuto da solo. Mi accompagnava, ovviamente, una persona di fiducia dell’ambasciata polacca. Alla proiezione del film aveva assistito anche la scrittrice francese Marguerite Duras, che mi si avvicinò per farmi i complimenti e una domanda: voleva sapere se il mio film fosse “il grido di dolore di una nazione oppressa dall’imperialismo sovietico”. Aveva ragione, ma io non potevo dirle di sì. Ero accompagnato da un funzionario e non avevo certo la libertà di discutere in pubblico di quei problemi. Le dissi che con quella domanda mi aveva umiliato. Lei scoppiò a piangere, si scusò. E poi mi venne a trovare in Polonia… provocando un’ulteriore valanga di problemi.

Per il suo film ha scelto un attore italiano. Perché Riccardo Leonelli?
L’ho conosciuto a Terni, mi è sembrato subito adatto perché anche nella vita privata è in qualche modo vicino al suo personaggio. Mi pareva credibile nella parte di un uomo così eticamente, moralmente e religiosamente integro.

Qual è stata la molla che l’ha convinta a girare Foreign Body?
La tendenza delle società postmoderne a eliminare i contrasti. Dire che tra bene e male non c’è differenza è un pensiero comodo, ma così non si condannerà mai nessuno per le sue azioni. Tutto diventa sfumato, mescolato. È un relativismo che mi irrita. Io voglio gridare che male e bene sono distinti, che hanno caratteristiche precise, voglio far emergere i contrasti nella nostra realtà e mostrarli al pubblico.

Parte ancora dalle sue esperienze personali quando gira un film?
Sì. Fortunatamente sono ancora molto attivo, anche fuori dal cinema. Sono coinvolto nella vita diplomatica del mio paese, organizzo training per le aziende e masterclass. Raccolgo tante storie ogni giorno…

In che modo la religione entra nel suo film?
Non mi interessava parlare della chiesa istituzionale o della religiosità popolare. Come la società viva la religione non rientra nei miei campi di indagine. Mi colpiscono invece le persone che vanno alla ricerca di una visione personale della spiritualità e della vita.

Come concilia la sua formazione scientifica, da fisico, con la religione?

Ho avuto la fortuna di studiare fisica negli anni ’50, nel momento in cui la fisica classica stava tramontando. La visione meccanicistica del mondo, in cui tutto ha una spiegazione e tutto puó essere manipolato, stava finendo. La fisica aveva perso le sue certezze, aprendosi verso il mistero, lo sconosciuto. Non a caso molti fisici e matematici che si sono formati in quegli anni hanno una spiccata sensibilità metafisica, non necessariamente religiosa. Lo stesso Papa Giovanni Paolo, in una lettera all’ Osservatorio Astronomico Vaticano, ricordava come San Tommaso d’Aquino conoscesse tutta la scienza della sua epoca. Oggi i teologi moderni non sanno niente della fisica moderna.

Cosa pensa del Premio Oscar al film polacco Ida?
Stimo moltissimo il regista, Paweł Pawlikowski. La cosa incredibile è che anni fa entrambi abbiamo conosciuto la stessa donna cui poi ci siamo ispirati per i nostri due film. Era una militare che aveva mandato a morte negli anni ’50 molti patrioti polacchi e poi, impunita, era emigrata in Inghilterra rifacendosi una vita. Ci aveva colpito la sua mancanza di pentimento, l’ostinazione nel non ammettere le sue colpe. Ma come si fa a vivere serenamente con questa consapevolezza? La vedevi e sembrava una donna normale, una borghese, simpatica ed elegante. Riferendosi al suo passato diceva sempre: “Era necessario”.

Sta lavorando su qualche nuovo progetto?
Certo. Quando senti avvicinarsi la fine della vita devi accelerare: è come nello sport, una corsa contro il tempo. Purtroppo questo inverno è sfumato il film epico che stavo preparando sulla Russia, a causa delle condizioni economiche e politiche del paese. Spero di far partire a breve un altro progetto, ancora una volta in co-produzione con l’Italia: un film in costume, a cavallo della prima guerra mondiale, molto intimista. Un progetto che ancora una volta si concentra sulla scoperta dell’origine del male.          

Ilaria Ravarino
22 Giugno 2015

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