Mario Martone e la pastorale per l’Expo

A Locarno il regista ha portato il film breve Pastorale cilentana che introdurrà alla visita del padiglione zero dell’Expo: "Racconta un periodo in cui l’uomo e la natura erano in equilibrio"


LOCARNO. È un film silenzioso. Diciannove minuti nel Cilento selvaggio e in un’epoca sospesa. Un medioevo che potrebbe spingersi fino ai primi anni del secolo scorso. Pastorale cilentana è il nuovo film che Mario Martone ha scritto con la sua compagna Ippolita Di Maio e che ha portato al festival di Locarno. Racconta la giornata di un bambino pastore la cui scansione sempre uguale delle ore è attraversata da alcuni fatti e da alcuni incontri.
“Sono molto grato a Carlo Chatrian per aver voluto dare dignità cinematografica, vera perché sul più grande schermo d’Europa, quello della Piazza grande, ad un film nato con un destino diverso. Pastorale cilentana infatti è il film che fino a fine ottobre introdurrà alla visita del padiglione zero dell’Expo di Milano – spiega Martone – Un film nato su commissione per volontà di Carlo Degli Esposti. All’inizio non volevo farlo, perché stavo lavorando alle prove della ‘Carmen’ tra Torino e Parigi, poi è venuta fuori l’idea di ambientarlo in una terra che amo molto, il Cilento, appunto, e che conosco fin da bambino, e così mi sono convinto. In questa decisione un peso fondamentale lo ha avuto Ippolita, che con me aveva già collaborato sia per Noi credevamo sia per Il giovane favoloso”.

A proposito di questi ultimi due film, Pastorale cilentana sembra essere in qualche modo il completamento di una trilogia.
In qualche modo lo è. È un’opera gemmata sulle altre due. Pur essendo formalmente il contrario – Noi credevamo e Il giovane favoloso sono due film molto lunghi mentre questo è molto breve ma ha un tempo interno assai più lento –  getta uno sguardo sulla storia d’Italia per andare alla radice di quel malessere che la nostra società oggi vive, ma che ha appunto radici molto profonde nel passato. Pastorale cilentana guarda a un periodo storico in cui l’uomo e la natura erano ancora in equilibrio, in cui l’uomo restituiva alla natura ciò che prendeva, in cui la tecnica cominciava a evolversi, a perfezionarsi, ma c’era reciprocità e non sfruttamento.

Il bambino è veramente bravo, ha i due occhi più grandi che si siano mai visti al cinema. come lo ha scelto?
Mattia è un bambino che non è diverso dai suoi coetanei, salvo in una cosa: ama davvero la pastorizia e fa davvero il pastore, anche se va regolarmente a scuola. La sua è una passione, come si vede nella scena iniziale quando munge le capre. Era l’interprete ideale, perché ha quel tasso di verità che la finzione cinematografica non può inventare.

Un’altra caratteristica di questa pellicola è che, dopo due film in cui la parola e i dialoghi erano molto importanti, qui di parole non ce ne sono.
E nemmeno la musica a commentare quello che si vede. Volevo restituire il modo di vivere in un’epoca in cui i rumori erano solo quelli che esistono in natura. E poi penso non ce ne fosse nemmeno bisogno: il paesaggio, i personaggi, i gesti quotidiani bastano da soli per descrivere quel modo di vivere che mi piaceva mostrare.

Il Cilento, che conosceva fin da bambino, è per lei un luogo davvero magico.
Sì è un posto molto importante e ricco d’ispirazione. Un paesaggio che amo far ritornare nei miei lavori. Lo squarcio di costa che vediamo in Pastorale cilentana è lo stesso nel quale sbarcano i patrioti in Noi credevamo. La scenografia naturale è fondamentale nel cinema e proprio per questo i miei film in costume cercano ambienti veri, non ricostruito o da “mulino bianco”.

Caterina Taricano
17 Agosto 2015

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