Stanley Tucci: Giacometti artista senza tempo

Il regista racconta il suo nuovo film sul pittore e scultore italo-svizzero in sala l'8 febbraio con la BIM


Esce in sala l’8 febbraio con BiM,  dopo il passaggio alla Berlinale The Final Portrait – L’arte di essere amici, film indipendente di Stanley Tucci sul pittore e scultore italo-svizzero Alberto Giacometti, interpretato da Geoffrey Rush mentre il suo modello James Lord, autore anche del libro ‘A Giacometti Portrait’ da cui il film tra ispirazione, ha il volto di Armie Hammer. E’ un buon momento per l’arte di Giacometti, dopo le mostre dei due scorsi anni alla National Portrait Gallery e alla Modern di Londra, e il padiglione Svizzero della Biennale a lui interamente dedicato. Il film si inserisce in questo filone, scegliendo non la via del biopic ma la specifica realizzazione del ritratto di Lord e gli ultimi anni della vita dello scultore.

“Non credo nei biopic – ci dice il regista a Roma, in occasione della presentazione del film – diventano presto monocordi elencando una serie di eventi, mentre credo sia più interessante concentrare l’attenzione su uno specifico episodio o evento della vita dell’artista e immergersi in quello fino in fondo, per scoprire attraverso quello l’essenza stessa della persona, in modo più universale”.

Lei è anche un grande attore. Non ha mai pensato di poterlo anche interpretare?

“Naturalmente sì, ma ho escluso subito l’idea perché dirigere sé stessi richiede un grosso sforzo e inevitabilmente la tua attenzione viene divisa, mentre questo era un progetto molto complesso e ne avrebbe sofferto”.

Qual è il suo rapporto con l’arte?

“Ci sono cresciuto perché mio padre stesso era un artista e un artigiano, insegnava arte a scuola e quindi l’ho osservato per gran parte della mia giovinezza. Abbiamo viaggiato molto, anche in Italia e per un anno intero abbiamo vissuto a Firenze. Qui ho scoperto l’arte e in particolare il Rinascimento. Quando hai questo tipo di educazione e respiri letteralmente arte è chiaro che poi questi insegnamenti ti accompagnino per la vita, infatti ho anche studiato disegno e continuato costantemente a frequentare mostre, gallerie e musei”.

Per Geoffrey Rush è stato difficile entrare così a fondo nel personaggio?

“Giacometti è sicuramente uno degli artisti più interessanti dei suoi tempi ma il libro ha fatto da ottima base, esprime l’essenza dell’artista con tutte le sue difficoltà, gioie e dolori. Mi è venuto spontaneo tramutarlo in film. Ma dovevo cercare i fondi e dunque in questa fase di pre-produzione e di ricerche Rush ha avuto ben due anni per prepararsi. Poi per una settimana prima di girare abbiamo fatto le prove come se si trattasse di una pièce teatrale, sfrondando i dialoghi e cercando una coincidenza tra la fisicità del personaggio e la sua emotività. Per Geoffrey le cose più difficili sono state trovarsi a suo agio negli eccessi di rabbia tipici di Giacometti e imparare a usare credibilmente il pennello. Una volta superati questi scogli non si è più fermato. Il mio obiettivo era mantenere il più possibile la sponteneità evitando un’eccessiva elaborazione”.

Le nevrosi di Giacometti sono tipiche di tutti gli artisti?

“Forse sì, un po’ di sadismo, di masochismo, la costante frustrazione e l’insoddisfazione, la ricerca non tanto della perfezione ma di qualcosa che sia veritiero del sentimento che si sta cercando di esprimere, fanno parte di tutti quelli che creano e magari anche di me. Ho parlato comunque con tre dei modelli che hanno posato per lui e mi hanno confermato che Giacometti era una persona estremametne affabile e affascinante, parlava, poi chinava il viso e taceva, diventava depresso, magari si arrabbiava, ma con i giovani tendeva a contenersi e ad essere più gentile”.

Di Giacometti come persona che idea si è fatto?

“Certamente ha dedicato anima e cuore al lavoro e alla pratica artistica, un’etica di totale dedizione al lavoro che non si rispecchia in un’etica di dedizione, ad esempio, alla sua famiglia e alla sua donna. Viveva come un bambino adulto e dunque era anche molto egoista, era sincero e non ne ha mai fatto mistero.  Chiaramente per vivere così aveva bisogno di circondarsi di persone che glie lo permettevano, come sua moglie e suo fratello. Potrebbe venire da chiedersi perché si sia sposato, o perché lei abbia sposato lui, ma credo che entrambi da questa unione abbiano avuto le loro soddisfazioni e motivazioni. Aveva il consenso di chi lo circondava. Era eticamente corretto? No, non credo, però non credo nemmeno che questo sia la cosa più importante nel raccontarlo. Mi interessava in termini di analisi il resoconto del processo creativo e la capacità dell’artista di proiettarsi avanti nel futuro”.  

Lei ha una carriera particolare. Come attore partecipa a molti film e anche a grossi blockbuster come i cinecomic Marvel o i film dei Transformers. Come regista lascia passare anche molto tempo tra un film e l’altro…

“Confermo. Possono passare anche otto anni, i motivi sono vari, ma voglio essere certo, quando faccio un film mio, di raccontare la storia esattamente come la voglio raccontare io. E non è facile trovare soldi per produzioni indipendenti. Per quanto riguarda la mia carriera di attore, alterno vari generi e, sì, anche i film commerciali perché altrimenti non avrei i soldi per mangiare, per far mangiare i miei cinque figli e per pagare il mutuo. Per me è inevitabile, ma sia chiaro che mi piacciono anche le grosso produzioni: sono divertenti, ti danno l’occasione di lavorare con colleghi bravi e simpatici e con troupe fenomenali. Tutto fa esperienza e non si butta via nulla”.

Una parola in più sulle musiche del film…

“Ci voleva l’equilibrio giusto, non dovevano sovrastare i dialoghi ma creare atmosfera. All’inizio ci calano nell’ambiente parigino, poi si fanno un commento più rarefatto. Evan Lurie, tra l’altro, ha composto anche musica per Roberto Benigni, per Johnny Stecchino, Il piccolo diavolo e Il mostro”.

Ha scelto di usare molta camera a mano…

“In gran parte dovevo ritrarre personaggi che restavano statici, un modello che sta fermo per definizione e un pittore che lo osserva e lo dipinge, quindi questo ci ha aiutati a creare un po’ di movimento, a tratti impercettibile. Abbiamo usato due macchine riprendendo a 360 gradi anche con l’aiuto degli attori e del direttore della fotografia che sono stati assolutamente straordinari, riadattando le luci a ogni ora del giorno in cui giravamo senza spreco di risorse”.

Perché Giacometti è ancora così attuale?

“Perché le sue opere sono senza tempo. Guardi le sculture: potrebbero essere state realizzate in epoca preistorica o l’altro ieri. Più di qualsiasi altro artista al mondo esprime al condizione umana a livello universale”. 

 

Qui il trailer del film:

Andrea Guglielmino
05 Febbraio 2018

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